La street art: cavallo di troia della gentrificazione?
Cari zigulini, sicuramente ricorderete un mio vecchio articolo che sfiorò la vittoria del Pulitzer. In un passaggio ormai epico di questo, definivo (definivo è una parola grossa, diciamo che riportavo un concetto rilevato in altre letture) la gentrificazione come un processo di sostituzione sociale degli storici residenti di un quartiere di un’estrazione sociale più popolare con gruppi di persone con più alto potere d’acquisto. Per questo, il termine inglese gentry (che significa borghesia). E da questo Gentrificacion: imborghesimento, elitizzazione di un quartiere.
Gentrificazione è quindi un concetto di antropologia urbana, che come tutti i concetti delle scienze sociali non si presenta agli occhi dell’Altro come facilmente riconoscibile o analizzabile, bensì una volta deciso di affrontarne il discorso ci si imbatte e sbatte con l’intersecarsi di differenti fattori: geografici, politici, sociali e culturali.
In questo articolo proviamo a fare alcune riflessioni sulla relazione tra street art e gentrificazione. Incuriosito dal fatto che i quartieri sotto processo di riqualificazione urbana (che poi è il motto dietro il quale si nasconde la gentrificazione) ci sia spesso la mano (inconsapevole o consapevole?) dell’arte urbana e leggendo alcuni articoli mi pare lecito porsi dei quesiti (tenetevi forte): la street art è il cavallo di troia della gentrificazione di un quartiere? L’arte urbana contribuisce significativamente a questo processo? Il movimento della street art ne è cosciente? È d’accordo? La street art ha le mani pulite o se ne lava le mani?
È indubbio (e provato) che spesso sono gli stessi artisti urbani succubi della gentrificazione, ossia vittime anch’essi del rincaro considerevole del costo della vita del quartiere sotto effetto di riqualificazione nel quale hanno deciso d’instaurarsi.
Sicuramente ci troviamo di fronte ad un tema delicato, perchè se ci limitassimo a guardare alla gentrificazione sotto un’ottica esclusivamente ottimista (e ahimè ingenua) incentrata sul concetto di riqualificazione di un quartiere degradato e tralasciandone le sue gravi ripercussioni sociali; si potrebbe anche vedere tutto ciò da un punto di vista positivo.
I problemi nascono quando ci si rende conto che questo stato di abbandono è spesso deliberato e serve ad amministrazioni comunali ed entità private (come per esempio imprese immobiliari) per approfittare dello stato di degrado (molte volte procurato) di una determinata zona della città per reinvestire su di esso, prima ristrutturando, poi vendendo o affittando a prezzi molto più alti a cui si era abituati.
Tutto questo viene parallelamente condito dall’avvento di nuovi esercizi commerciali (bar cool, mercatini di roba vintage, caffetterie hipster …), sostanziali cambiamenti nell’offerta culturale e nella movida, che, lo sanno anche i muri, non sono proprio accessibili a tutti a livello economico.
Le conseguenze sono drastiche: aumento del costo della vita, esodo degli antichi abitanti costretti a doversene andare e obbligati a cercarsi un altro posto dove vivere, stravolgimento del tessuto sociale del quartiere e dulcis in fundo, di vite umane.
Gli artisti vengono attirati da un determinato quartiere per la sua alone boemo y underground , “multiculturale” o spesso fintamente autentico, a volte per viverci o semplicemente per farci qualche lavoro. Il loro apporto artistico spesso, però, non fa altro che consolidare un’ immagine particolare del quartiere, dandogli un tocco cool che fa comodo e gola agli speculatori edilizi e a tanti imprenditori che cominciano a vedere nuove miniere d’oro in questi nuovi quartieri “vergini”.
Il quartiere è a poco a poco preso di mira e invaso da tribù di consumatori di movida e di cultura, tra i quali sicuramente i più famosi e discussi sono gli hipster (molto spesso accusati di essere il motore della gentrificazione, ma questo è un altro discorso ndr…), yuppies o anche studenti universitari che sembrano sguazzare nei quartieri sotto processo di gentrificazione.
Non so se lo vedo solo io però noto una certa ambiguità e per certi versi un paradosso nel ruolo della street art nella trasformazione urbana della città. Da una parte contribuisce inconsapevolmente ad agevolare la speculazione edilizia facendo il gioco di macro politiche urbanistiche e di mercato e dall’altra è spesso uno dei primi gruppi di persone che è costretto ad abbandonare il quartiere per il rincaro generale del costo della vita.
Bansky nel suo libro Wall and Piece pubblica una lettera di un abitante del quartiere di Hackney a Londra che gli scrive chiedendogli di andare da qualche altra parte a fare le sue performance perchè la sua presenza sta contribuendo ad attrarre orde di yuppies e studenti e il costo della vita si sta facendo proibitivo per loro!
Un artista urbano, quindi, come si deve comportare rispetto a tutto questo? Che atteggiamento deve adottare, indifferenza o militanza? Come può un artista urbano contrastare questo fenomeno (se può farlo). Belle domande.
Fino a che punto finisce la critica sociale e entra l’arte fine a se stessa? La street art è senza peccato?