La street art, un antidoto anti Walt Disney?
Ho incontrato Sidonie Garnier, Jeanne Thibord et François Le Gall per parlare di Défense d’afficher, un webdocumentario consacrato alla street art, girato in otto diversi paesi con otto diversi street artist. 100000 contatti unici e 130000 visite, 300 nuovi contatti giornalieri ancora oggi, ad un anno dalla suo arrivo in rete: numeri che fanno concorrenza ai canali del digitale terrestre. Ma con loro, ho parlato soprattutto di street art e di centri storici disneylandizzati.
Chi ha prodotto Défense d’afficher? E’ la prima volta che lavorate con degli street artist?
Défense d’afficher è il frutto di una collaborazione tra la Maison du Directeur e Camera Talk. Volevamo fare un documentario sulla street art senza ricorrere all’estetica tradizionale: immagini centrate sui gesti, colonna sonora hip-hop. La street art ci comunicava altro e volevamo trasmettere questa diversità.
Che tipo di rapporto avete avuto con internet?
Quasi subito, ci siamo resi conto che dovevamo viaggiare e che un formato corto (7-8 minuti) era il più adatto alle nostre esigenze. Da qui l’idea di diffonderlo tramite internet, anche perché è su internet che trovi la gente interessata alla street art. Per produrlo, abbiamo dialogato su internet con Unurth, ma anche con Ekosystem, che è uno dei pochi siti ad avere una visione veramente mondiale sulla street art. E’ lì che abbiamo trovato Pallo e Trase One, mentre Bankslave l’abbiamo scoperto su Fatcap.
Non conoscevo Trase One, ma i suoi giochi d’ombra sono affascinanti. Offre inoltre uno spaccato impressionante sulle politiche di repressione dei graffiti in Asia. Per qualcuno abituato a vivere in Europa, è difficile proiettarsi in quel mondo.
Trase One è lo street artist per antonomasia. Conosce tutti gli angoli della città e ne studia anche le ombre per dipingere i suoi skaters. Ci tengo però a presentare anche gli altri. Alexandre Orion l’ho conosciuto a Parigi durante una mostra. Sempre a Parigi, abbiamo incontrato Ludo. Avevamo contattato anche Interesni Kazki, ma erano in giro per il mondo quando sono arrivati i finanziamenti. Poi ci sono Bleeps, scoperto sempre su internet, Pallo, Bankslave e Bastardilla, mentre 5Pointz è una scoperta di François.
Perché proprio 5Pointz ?
Per raccontare la storia di questo movimento e perché 5Pointz permetteva di ricreare sullo schermo il modo in cui gli street artist conquistano le città. Camminando da una stanza all’altra di quel luogo – come da una strada all’altra di una città – si scopre il lavoro di numerosi street artist. Riproduciamo lo stesso schema quando navighiamo su internet, passando da una pagina all’altra in funzione dei nostri gusti, del tempo a disposizione, del nostro umore.
In fondo, 5Pointz mostra come degli street artist cacciati da Manhattan siano ripartiti da un altro luogo, senza però perdere il proprio pubblico grazie ad internet. E’ la prova che oggi la cultura si diffonde in modo diverso, che esistono meno barriere geografiche e sociali.
Perché avete scelto street artist con approcci cosi diversi tra loro?
Volevamo mostrare diverse tecniche, dai graffiti allo stencil alla pittura, ma volevamo soprattutto evitare di cadere nel discorso classico: i graffiti sono brutti atti vandalici, la street art abbellisce le città.
Che cosa differenzia il writing dalla street art?
La street art o la prendi in blocco o non la prendi. Si tratta sempre della stessa pulsione di esprimere qualcosa. Perché occupiamo i muri? Perché non possiamo farci sentire altrove. I rapporti con gli street artist ci hanno confermato un bisogno urgente di esprimersi, di essere ascoltati.
Perché avete scelto dei registi originari degli stessi paesi degli street artist?
Non volevamo imporre uno sguardo occidentale. Scegliere registi “locali” si è rilevata una scelta giusta, anche perché i registi scelti hanno colto dei dettagli che degli “stranieri” non avrebbero visto.
Sullo schermo si vedono anche le mappe delle città, con gli spot preferiti degli street artist. Perché?
Proporre una mappa incoraggia lo spettatore a scoprire le città. La mappa mostra come la street art anima la città e geolocalizza opere effimere che ci dicono che la città non è mai la stessa, che tutto evolve, che le città non sono solo dei centri storici sempre più disneylandizzati. Siamo veramente stupiti dalla cartolinizzazione delle grandi capitali. Magari, la street art è meno bella, ma noi la preferiamo.
Il sito di Défense d’Afficher
http://www.francetv.fr/defense-d-afficher/
(cliccate in alto a dx per i sottotitoli in inglese)
La versione lunga in francese di quella disponibile anche sul blog di Le Grand Jeu.
http://legrandj.eu/article/ne_cinema_ne_televisione._i_documentari_ora_si_vedono_sul_web