L’arte di L’Atlas in sei domande
Transversal è il titolo della sua bellissima personale, che io ho avuto l’onore di vedere in anteprima, negli spazi della Wunderkammern di Roma dal 22 Novembre al 17 Gennaio 2015. Tante le opere esposte per questa mostra tanto attesa da tutto il pubblico romano che ha avuto modo di conoscerlo qualche anno fa in occasione di altre iniziative come il festival Outdoor. Lui è uno dei più forti street artist del momento, francese di nascita e cittadino del mondo, amante di Roma e del suo tempo che non passa mai, ha iniziato a fare graffiti un pò di tempo fa e il suo percorso l’ha portato a realizzare ciò che oggi si inserisce tra la vecchia scuola dei graffiti e la street art da cui ne è derivata, un fantastico mondo di lettere e linee geometriche di cui vi parliamo oggi in questa bella intervista. Un artista simpatico a cui piace raccontare le fasi di elaborazione dell’idea, la trasformazione che va dal concetto al concreto delle sue opere. Lui è L’Atlas e io gli ho fatto qualche domanda a poche ore dall’inaugurazione durante qualche ora di riposo dal murale che ha realizzato a Torpignattara. Buona lettura!
Raccontaci come è nata questa idea della mostra alla Wunderkammern.
Qualche anno fa ho conosciuto Christian Omodeo che mi ha invitato a realizzare un pezzo in occasione del festival Outdoor alla Garbatella e proprio lui mi ha messo in contatto con Giuseppe Pizzuto, al quale sono piaciuti i miei lavori. Ed ora eccomi qua.
Perché Transversal?
Normalmente il titolo delle mie mostre corrisponde al titolo di una sola serie di lavori ma in questa mostra, Transversal, ho messo insieme opere di diverse serie e una nuova ovvero quelle realizzate su legno che hanno qualcosa di trasversale. Quindi Transversal perché è il nome di quella serie e per il modo in cui vengono mostrate le diverse opere.
Perché hai deciso di chiamarti L’Atlas?
Ho iniziato facendo graffiti negli anni 90 e quindi come tutti quelli che fanno graffiti dovevo scegliere un nome. All’inizio era solo Atlas, proprio per il nome del libro di geografia poi però ho deciso di inserire L’ per indicare un soggetto ben definito che agisce su un territorio, come per specificare quell’Atlas, quindi io. All’età di 15 anni ho iniziato a studiare calligrafia quando un giorno ho conosciuto un artista che mi ha invitato in Marocco a studiare la loro calligrafia, quella araba, nei pressi della montagna Atlas. È un caso che io sia finito proprio in un posto con il mio stesso nome. In Marocco ho imparato la calligrafia cufica e la geometria cufica e quindi come queste vengono utilizzate anche in molti spazi architettonici come all’interno delle moschee. Per me è stato davvero molto interessante vedere come l’architettura, la geometria e il lettering si mischiavano. Inoltre viaggiando in Egitto e poi in Siria ho ampliato i miei studi sui caratteri tipografici e come mischiarli alla topografia, quindi allo studio del territorio su cui baso i miei lavori.
Raccontaci come è avvenuto il tuo passaggio dalla fase dei graffiti a quella della street art?
Il mondo dei graffiti è per ovvi motivi legato alla cultura hip hop e rap americana, quindi New York e la West Coast sono la fonte da cui abbiamo tratto un po’ tutti ispirazione. Me compreso. Ad un certo punto però ho sentito il bisogno di fare qualcosa di diverso, vedevo che era diventato tutto statico intorno a me e così mi sono lasciato affascinare dalla cultura araba, così come da quella cinese e ho pensato che si poteva mischiare la base che avevo a queste nuove culture di cui mi sentivo attratto, per creare qualcosa di nuovo, di diverso rispetto al resto.
Come è cambiato il modo di fare arte in strada secondo te?
Quando la gente ha iniziato a fare graffiti era per affermare la propria esistenza, giusto per dire: io esisto! Noi siamo qui. E questa è arte per me. Poi sono arrivati gli stencil e già si capiva che qualcosa stava cambiando. Nei primi anni del duemila hanno iniziato a chiamarla street art ma aveva delle caratteristiche diverse dai graffiti poiché si leggevano dei messaggi diversi, molto spesso legati a cosa ci succede intorno. Io mi sento a metà tra i graffiti e la street art, infatti continuo ad scrivere il mio nome, mi piace continuare a creare qualcosa di astratto come le opere che vedi qui in galleria. è un gioco per me.
Parliamo di Roma e di come la vedono i tuoi occhi.
Conosco la street art romana grazie a Sten&Lex con cui ho lavorato ad un murale sette anni fa a San Lorenzo. Roma mi ricorda un po’ la Parigi degli anni 80, noto che l’amministrazione locale non fa cancellare le tag e le scritte sui muri e per strada, quindi lascia libera espressione alle persone. A Parigi non è più così, ora puoi farlo solo se hai l’autorizzazione. Noi viviamo nel futuro mentre qua si vive nel passato. Roma mi piace per questa caratteristica perché io sono una persona nostalgica e quando vengo in questa città mi sento bene perché mi sembra di fare un viaggio nel tempo. Però mi accorgo che è davvero difficile vivere qua dove tutto scorre lentamente, economia compresa. L’ho visto lavorando in questo quartiere, si percepisce una certa difficoltà.
I tuoi ultimi progetti?
Ho realizzato alcune litografie per Idem Studio a Parigi, un posto fantastico dove sembra di essere sospesi a metà tra gli anni venti e il tempo presente. In quello studio sono entrati artisti molto importanti come Picasso ed è quindi un’esperienza importante per me. Le persone che lavorano in quello studio sanno come far combaciare i numeri e la geometria con la tradizione e questa con la modernità. Un po’ quello che cerco di fare io, ovvero imparare ispirandomi alla tradizione e metterla dentro la tecnologia moderna. Proprio come i lavori che ho realizzato per loro, ovvero delle grandi litografie geometriche che siamo riusciti a comporre grazie all’utilizzo di grandi macchine visto che a mano, come di solito faccio, era impossibile. È stata una esperienza molto stimolante e insieme abbiamo creato una serie dal titolo Shapes esposta presso la Catherine Ahnell Gallery di New York lo scorso maggio con un video sulla realizzazione.
Foto di Giorgio Coen Cagli, courtesy Wunderkammern.