Le visioni di carta di Elena Borghi
Scrivere l’introduzione per un’intervista a Elena Borghi non è tra le cose più semplici da fare a cavallo tra Inverno e Primavera. È un’impresa che può essere paragonata solo a qualcosa di epico e molto femminile come preparare una torta di compleanno sperando che esca dal forno esattamente come te la sei immaginata: dolce ma non stucchevole, lievitata al punto giusto e con un sapore perfettamente equilibrato ma vagamente indefinito.
Potrei iniziare presentandola come Elena Borghi, un’illustratrice e scenografa di origine veneta che lavora con la carta e crea istallazioni spettacolari per negozi, eventi e campagne pubblicitarie. Ma non è così. Elena Borghi è una maestosa e sapiente canalizzatrice che tramuta in emozioni di carta e colore immagini sospese tra Iperuranio e mondo del tangibile.
Sono andata a trovarla nel suo laboratorio a Milano: un posto ben nascosto che va cercato con cura e una volta trovato svela meraviglie di carta, bustine di tisane alla cannella e porte dipinte di turchese. A vegliare sospeso sul tavolo da lavoro di Elena c’è un sinuoso dragone coperto di squame di carta colorata. Ricorda che la pelle di alcune creature del regno animale con il cambio delle stagioni si stacca e lascia fuoriuscire una pelle nuova e più lucente. Prima di trovare la sua pelle più autentica Elena ha vissuto peripezie degne del protagonista di un romanzo di formazione, è stata scenografa, costumista, mock-up artist, cameriera, blogger.
Le sue ricerche di un’identità artistica e di un linguaggio tutto suo sono culminate in una meritata celebrazione quando nel 2015 la casa editrice Logos le dedica una pubblicazione monografica intitolata Paper Visions, Visioni di carta. Elena non si limita a plasmare opere incredibili con la più delicata tra le materie prime: dà una consistenza a flussi emotivi, sogni e parole di chi ha davanti traducendoli in creature che tutti possono vedere.
Hai all’attivo collaborazioni con vari marchi molto diversi tra loro: Adidas, Sergio Rossi, Vogue per citarne alcuni. Come fai a interpretare le esigenze dei tuoi clienti senza snaturare il tuo sentire e la tua creatività?
Per me è inevitabile farlo: la mia linfa creativa viene da chi ho davanti, le situazioni che mi capitano influiscono minimamente. Il mio intento è creare delle emozioni per conto del cliente che mi chiama, far sì che il marchio committente rimanga impresso nella mente dell’osservatore. Metto a frutto le mie capacità per comunicare dei messaggi. Sono uno strumento per quei brand illuminati che vedono nel mio lavoro l’opportunità di distinguersi in un mercato che è stanco dell’omologazione.
Ci racconti il tuo rapporto con la carta?
È sicuramente un rapporto d’amore, un amore che ha sempre fatto parte di me. Cito mia madre: lei mi ha stimolata a conoscerla e utilizzarla. All’inizio non mi rendevo conto che potesse diventare uno strumento protagonista del mio lavoro: la carta era talmente parte di me da aiutarmi nel processo creativo anche con gli altri materiali. Il procedimento era schizzo, modellino in carta e realizzazione. Spesso gli addetti ai lavori si accorgevano di quanto fossi veloce ed efficace nel lavorarla e a un certo punto ci ho creduto! La gavetta l’ho fatta collaborando con un’ azienda che faceva packaging. Mi trovavo a fare cluster dello yogurt e a tagliarne 200 con conseguenti tendiniti e vesciche. Lì ho imparato a diventare veloce e precisa, con un braccio che assomigliava molto a una macchina! È stata una collaborazione di 7 anni in cui non c’era poesia ma solo lavoro ed è stata fondamentale per preparare le mie basi e consentirmi di sviluppare concretamente il mio immaginario.
Quali sono gli ingredienti base del tuo immaginario?
Sicuramente sono da rintracciare nella mia formazione che è stata contaminata da tantissime e variegate influenze. Sono sempre stata bulimica di informazioni: fin da piccola leggevo di tutto, guardavo d tutto, sfogliavo di tutto. Fin da piccolissima mia madre mi piazzava in un angolo con una pila di cataloghi di mobili (mio papà lavorava in una fabbrica che li produceva) ed era certa di ritrovarmi lì. Tutto quello che era immagine ma anche parola io lo divoravo. Tuttora sono così. Appena ho tempo mi documento, leggo, osservo, vado a mostre, mi entusiasmo come una bambina quando scopro qualcosa di nuovo che fa vibrare le corde del mio intelletto.
Documentarsi è importantissimo secondo me perché aiuta a captare quello che sento nell’aria incanalandolo in una creazione che parli all’inconscio collettivo.
Come era la Elena Borghi studentessa di belle arti?
Avevo una forte tendenza ad analizzare, una sete pazzesca di informazioni, ero anche un po’ topo da biblioteca ma non sono mai stata secchiona. Mi sono sempre dovuta sbattere un casino e i tempi dell’Accademia di Brera li ricordo come una mia fioritura perché negli altri ambiti scolastici mi sono sempre sentita mediocre. Ero determinata e tenace, facevo una vita dura, ancora oggi mi chiedo come abbia fatto e credo che sia stato tutto merito della volontà. Ho avuto una famiglia amorevole alle spalle che mi ha dato tutti gli strumenti necessari per essere indipendente e quando partii per Milano a 18 anni sapevo che questa era la mia vita e che ce la dovevo fare da sola.
Ad un anno dal mio trasferimento cercai lavoro in un’azienda che faceva scenografie per parchi di divertimento. Mi presentai un giorno, senza avvertire, alle 8 del mattino dicendo che cercavo lavoro, ma non ce n’era, così mi offrii di pulire il capannone della produzione scenografie che era veramente un disastro di sporcizia e disordine. Tornai a pulire per un po’ di giorni di fila, senza che mi venisse richiesto, fino a quando il titolare mi disse: “Lo vedi quel dinosauro? È lì da un sacco di tempo, va dipinto. Se vuoi prova tu”. Io risposi che non avevo mai fatto un dinosauro in vita mia e lui disse una frase che è stata fondamentale per la mia vita professionale: “Non ti preoccupare, perché se anche sbagli c’è sempre una soluzione”. Iniziai una lunga collaborazione con quell’azienda e fu estremamente formativa. Mi svegliavo ogni giorno, week end compresi alle 6, prendevo il treno per la Brianza, tornavo a casa alle 8 di sera e cominciavo a studiare e disegnare per gli esami di scenografia dopo una giornata trascorsa a dipingere e scolpire. Era dura eppure non mi sono mai lamentata.
Come hai capito come far diventare le tue visioni un lavoro?
Non c’è separazione tra noi e la fonte creatrice. Basta andar su, tornare giù e disegnare o scolpire o tagliare la carta, con amore per questo Mondo e per tutte le creature che lo popolano, senza presunzione. La mia vera conquista personale è stata divenire consapevole di questa strada privilegiata che percorrevo fin da piccola, senza saperlo.
Come si fa a dare consistenza ai sogni, che è un po’ quello che fai tu?
Si tratta di credere a quei sogni. Sono certa che tutte le persone li provano ma non ci credono, sopraffatte da quello “altri” dicono loro sia il giusto da perseguire. Il nostro corpo ci dice cose in continuazione ma noi non lo ascoltiamo, siamo abituati a livello sociale a respingere queste emozioni che non sono affatto astratte ma molto precise ed esatte.
Ci sono volte in cui, semplicemente, fisso uno spazio e tutto è già lì dentro, va solo reso concretamente visibile per tutti. Questa dote insieme alla mia tenacia può essere considerata la parte fondamentale del mio lavoro, il talento è solo l’1%. Per riuscire bisogna saper fare tante cose: essere promotori di se stessi, saper comunicare le proprie idee anche a parole, rendere accessibile il proprio lavoro in modo professionale, non lasciare nulla al caso. In questo periodo storico non ci si può permettere di non essere tutto al meglio ed è per questo che mi reputo una grande consumatrice e sostenitrice dell’auto-critica, troppo spesso dimenticata. Se necessario bisogna essere feroci con se stessi e dirsi onestamente dove c’è margine di miglioramento in quello che facciamo, senza pretendere sempre che siano gli altri ad accomodarsi attorno alle nostre esigenze.
Non so dire come si faccia a dare consistenza ai sogni. Posso solo dire come ho fatto io: nella prima parte della mia vita ho acquisito gli strumenti necessari per poter tradurre quei sogni in arte ed ora, nella seconda parte della mia vita, è come se avessi una cassetta degli attrezzi ben organizzata con dentro tutto quello che mi serve.
Per saperne di più:
www.elenaborghi.com