Memecrazia totalitaria
Cari zigulini. Ai più vecchietti domando: vi ricordate la Lambada? Ai più giovani: cosa mi dite del video Kony 2012, quel video che raggiunse più di 70 milioni di visualizzazioni in quattro giorni, più 5 milioni di dollari di fondi e che venne successivamente tacciato di essere una bufala? E del mitico Gangnam Style? Perché ottenne un così grande successo?
Questi sono tra gli esempi più clamorosi di quelli che la giornalista spagnola Delia Rodriguez, nel suo libro Memecracia, Los virales que nos gobiernan, settembre 2013, casa editrice La Gestion 2000 (in italiano sarebbe Memecrazia, i virali che ci governano) definisce come memes, ossia idee che si contagiano da mente a mente e delle quali riceviamo un bombardamento quotidiano attraverso i mezzi di comunicazione, consciamente o inconsciamente.
Certo, solo alcuni memes, quelli meglio congetturati, riescono a catturare la nostra attenzione riuscendo a scaturire in noi il bisogno irrefrenabile di condividerli. Una cosa è certa: viviamo in uno stato d’assedio d’informazione quotidiana. Chi sono le vittime? La nostra curiosità, la nostra attenzione, il nostro tempo.
Il termine meme lo coniò uno scienziato americano, Richard Dawkins, che in un suo libro del 1976, Il gene egoista, definì i mimeme (successivamente abbreviato in meme) come una specie di unità minima di trasmissione culturale con le caratteristiche del genoma umano, ossia per farla breve, un’idea contagiosa. Occhio! Caratteristica primordiale del meme è che non deve necessariamente essere bello, utile, o veritiero, bensì il suo unico obbiettivo è quello di estendersi per quanto più possa e sopravvivere. Ossia deve essere contagioso, virale.
Quante volte al giorno siamo di fronte a migliaia di contenuti, notizie, selfie, video di cani che ballano o altri del tipo Trenta buoni motivi per andare a vivere in Kamchatka… ? Alcuni li guardiamo incuriositi e altri forse un po’ annoiati, però sono tutti il frutto di precise strategie per accalappiare la nostra curiosità, per rubare il nostro prezioso tempo e conquistare il nostro inestimabile clic.
Di tutti i tipi di memes in cui ci possiamo imbattere ce ne sono tre che hanno maggior vantaggi di “conquistarci” rispetto ad altri: quelli che fanno riferimento al pericolo o la paura, quelli riguardanti il sesso e dulcis in fundo quelli che parlano del cibo. Ovvero quelli più strettamente necessari e maggiormente relazionati con la sopravvivenza dell’essere umano. Non c’è bisogno di molta scienza per rendersi conto che oggi come non mai siamo assaltati da migliaia di documenti, più o meno scientifici su cosa è meglio mangiare o no, per non parlare delle foto del cibo su Instangram.
Cos’è quindi la Memecracia? È il sistema in cui, nolenti o volenti, siamo immersi oggigiorno e che governa le nostre vite. Viviamo in una vera e propria economia de los memes. Noi stessi ci trasformiamo in trafficanti di memes: ogni giorno sentiamo la necessità e il bisogno di condividere storie, contenuti, emozioni, foto, strunzate. Per sentirci vivi, per dichiarare al mondo che esistiamo.
Chi è il re della memetica mondiale? Chi se non il nobel per la pace Obama, nessun gesto o sua parola è lasciato al caso, un esempio tra gli altri il selfie ai funerali di Nelson Mandela con la premier danese e il capo del governo inglese. Una foto da milioni di click. E in Italia? Chi è che sta riuscendo a catturare di più la nostra attenzione e i nostri click? Renzi, Balotelli, il Papa o le foto dei gatti che sbadigliano? Chi è il più bravo?
Insomma, il libro della Rodriguez (speriamo lo traducano presto in italiano), nonché il suo blog sono molto interessanti. C’è tutta una parte che parla di come difendersi dai memes più aggressivi. Però questo se vi interessa lo racconteremo nella prossima puntata.
Memecracia | blog