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Napoli – Zanzibar solo andata

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Napoli è una città che sa sempre stupirti e che nasconde tesori che sfuggono a un occhio frettoloso, bisogna, infatti, prendersi il proprio tempo e osservare con cura per scovare persone e posti eccezionali. Io che sono una sognatrice e me ne vado in giro sempre con il naso all’insù, spio nei bassi, sorrido se qualche mamma “vaiassa” (dicesi vaiassa la tipica femmina napoletana dotata di poca grazia e leggiadria, N.d.R.) sgrida suo figlio e parlo con i fruttivendoli di ogni quartiere, questi posti mitologici li scovo molto spesso. Erano anni che passavo davanti a un modesto negozietto che campeggia esattamente di fronte alla mia università, l’Orientale per intenderci, e puntualmente mi soffermavo a osservare con curiosità il contenuto delle imponenti vetrine. Poi finalmente mi sono decisa e vi racconto cosa ho trovato.

Sono piombata nel cuore della mattinata da Paolo, il “commerciante” in questione, con tanto di fotografo, chiedendogli di mostrarci il suo mondo. Pensavo si limitasse tutto alla stanza che stavamo vedendo, ma soprattutto, pensavo che quello fosse solo un negozio di cose belle e rare. Ho scoperto, invece, che si tratta di un labirintico museo dalle molteplici sfaccettature che soddisfa non solo collezionisti e appassionati del genere, ma chiunque ami gli oggetti di un’altra epoca. Il posto di cui vi sto parlando si chiama Zanzibar e il proprietario, anche se in realtà dovrei definirlo il curatore, lo ha creato negli anni ottanta come negozio di modernariato e ci si può trovare davvero di tutto. Paolo, nel momento in cui gli chiedo da cosa è nata quest’idea, provocatorio mi risponde: “E’ nata perché mi divertiva l’idea di comprare cose che non potevo permettermi”.
Paolo ha sempre amato l’arte e ha portato avanti alcuni progetti fotografici e istallazioni, che ha occasionalmente presentato in mostre o fiere. Ce ne ha mostrati diversi, sempre con il suo fare sfrontato di chi conosce bene se stesso e il suo piccolo mondo. Tra i tanti c’era un collage fatto con ritagli di pubblicità degli anni ’50, un lavoro intitolato “Sedici donne in caiola” e una statua creata con un manichino all’interno del quale si cela una scultura d’argento d’inizio secolo, visibile solo attraverso un foro posizionato esattamente all’altezza del pube.

Quest’uomo disegna una sirena al giorno da sei anni, utilizzando pezzi di carta della contabilità dismessi e vive l’interesse per la sua attività in modo globale. Non è solo un lavoro, ma una passione che investe tutta la sua vita. Qualche anno fa si è lasciato trascinare da un’idea, un po’ per curiosità e un po’ per il gusto di: “Vedere quante persone mi rispondevano di si”. In pratica, si è dedicato a fotografare tutti quelli che entravano nel suo negozio, previo consenso, seduti sulla panchina all’entrata con un numero di ceramica in mano. Ha fotografato centinaia di persone chiedendogli solo di posare con il suddetto numero in vista e lasciandogli libera interpretazione. Ne è venuto fuori un interessante studio sociologico dove attraverso queste semplici fotografie, che ha stampato ed espone in una libreria all’interno del suo negozio, è riuscito a mettere a nudo le personalità più disparate con simpatiche evoluzioni (esiste un album di ragazze che posano mostrando il proprio lato b).
Dopo qualche chiacchiera e domanda basilare, come per esempio: “Dove trovi tutte queste cose?” “Uccido le vecchiette!”, Paolo ci chiede candidamente “Volete vedere anche il museo?”, io naturalmente inarco le sopracciglia e rispondo di sì. Così usciamo dal retro e ci ritroviamo nel vicolo adiacente alla strada principale, entriamo in una porta chiusa a chiave che ci conduce direttamente nel museo dell’elettricità, dove c’è davvero di tutto. Un’insegna tedesca con buchi causati dai bombardamenti di non ricordo quale guerra, vibratori, anzi, vibro-massaggiatori di primissima generazione, un phon mitologico, una collezione di lampadine che risale all’inizio del secolo scorso e tanti altri marchingegni che affascinano non tanto per la loro estetica, tuttavia particolarissima, ma per essere oggetti intrisi di storia e capitati lì chissà come.

Dal museo viene fuori anche lo studio, che si nasconde in alto, in cima a delle scalette, e altro non è che un soffitto reinventato ad hoc e pieno zeppo di meravigliose valigie di cuoio. Anche il bagno da Zanzibar è particolare con una collezione di fotografie di belle donne. Paolo ha davvero un bel caratterino, vagare nelle sue stanze non è stato facile, il suo serrato senso dell’umorismo, ma soprattutto la sua spiccata vena provocatoria mi hanno messo in difficoltà e fatta sentire un’ospite da scrutare e studiare (esattamente quello che stavo facendo io con il suo negozio e anche con la sua persona, lo ammetto). “Qual è l’oggetto che ti piace di più?” gli ho chiesto e la risposta è stata: “Quello che non ho ancora trovato”.
Consiglio per tutti di fare un giretto da Zanzibar, salutatemi Paolo, ma soprattutto imparate a guardarvi attorno.

Godetevi la galleria fotografica:

Tutte le foto sono di Federico Passaro.

Maria Caro

scritto da

Questo è il suo articolo n°444

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