Non arrivate in ritardo, il teatro e la tecnologia non aspettano: Guruguru
Treno soppresso, metropolitana in ritardo, la gente che ci metteva secoli per salire e scendere dalle due fermate che mi separavano da Piazza Amedeo. “Ce la posso fare, ce la posso fare, no, non ce l’ho fatta!”. Hanno cominciato alle diciannove ed un secondo e io? Avevo tardato di cinque minuti esatti. Ma la tecnologia usata sui mezzi di trasporto? Ne vogliamo parlare? Vabbè, magari in un altro momento. Colpo di culo: “Ciao io sono Ant, il creatore dello spettacolo, puoi assistere alle prove di domani se vuoi, ma puntuale alle quindici!” Inutile dirvi che sono arrivata lì alle quattordici e quindici e le prove sono cominciate alle quindici e trenta. Argh! ( o merda per i lettori meno formali). Ok cominciamo.
Mi danno un badge col nome di quello che sarà il mio personaggio. Ovviamente sono “Cicci” (avranno mica notato i chili presi nelle ultime due cerimonie? Sta gente che si sposa!) Comincia lo spettacolo, mettete gli auricolari, caspita, ci stanno anche riprendendo. Eravamo cinque sconosciuti, dopo soli cinquanta minuti un gruppo affiatato che sembrava conoscersi da anni, ecco cosa succede se si viene coinvolti in una performance di “autoteatro” diventando i personaggi di un’opera interattiva. Ant Hampton usa la tecnologia, spesso causa di alienazione e isolamento dalla realtà sociale, per introdurci in un incosciente viaggio nella quotidianità, mettendo alla prova la nostra capacità di scegliere, di essere noi stessi in un mondo che tende ad omologarci e a rinchiuderci in cluster che obbediscono alle logiche di mercato, in schemi riconducibili a spicciole interpretazioni psicologiche. Sopraffatti da ciò che la società si aspetta da noi, spesso ubbidiamo ai dettami del “così si deve fare”, dimenticandoci di pensare a come davvero ci comporteremmo in certe situazioni, il nostro pensiero diventa sempre più flebile fino a non esser più capaci di ragionare in modo autonomo. È a questo paradosso che Guruguru conduce il suo pubblico: “inutile pensare, tanto c’è chi lo fa per me”. L’io si svigorisce mentre costruisce il guru che interpreterà le nostre debolezze, da cui penderanno le nostre speranze. È inevitabile una riflessione (lasciatemi pensare di tanto in tanto): questo è un meccanismo perverso in cui spesso l’uomo si rinchiude davvero. Però qualcosa non va e non dipende dal fatto che siamo alle prove, d’un tratto a qualcuno viene chiesto di metter via le cuffie e …non posso dirvi tutto altrimenti non c’è gusto! Provate a prenderei biglietti, secondo me è divertente. Posso solo dire che all’improvviso il meccanismo s’inceppa e chi doveva dirci “chi siamo” perde la sua credibilità e a noi non resta che levargli occhi, parola, decostruirlo e poi? e poi pensare! Ritrovarci, ritrovare il bello e il brutto di sé, ritrovare il proprio essere, sto per commuovermi fermatemi. Dopo lo spettacolo mi viene la brillante idea di seguire l’incontro con due registi che usano la tecnologia per le loro opere. Ero sveglia quando qualcuno ha detto che in Guruguru la tecnologia viene utilizzata per percepire la drammaturgia, e nel dibattito su quanto le due entità siano compatibili senza sopraffare l’una l’altra. Ant Hampton ha spiegato che “l’Autoteatro si serve della tecnologia, ma ha comunque alla base una forma di teatro tradizionale” e in effetti è così, con la sola differenza che i protagonisti non hanno un copione da imparare, ma degli auricolari che al momento dicono cosa, quando e come esprimersi senza però avere idea di cosa diranno gli altri. Quest’opera è un esercizio mentale in cui le persone potrebbero mettersi alla prova. Sarà per questo che è stato incrementato il numero degli spettacoli, in scena a Palazzo Leonetti (Napoli) fino al 13 giugno. Un’esperienza da non perdere.
Per chi volesse cimentarsi: Napoli Teatro Festival Italia