Non solo musica al Meet in Town
Un mix di suoni, luci e immagini hanno invaso l’Auditorium Parco della Musica di Roma nelle serate di venerdì 8 e sabato 9 giugno, per la kermesse di musica elettronica MEET IN TOWN, giunta alla terza edizione. ‘Let’s Stay Together‘ è il titolo di quest’anno ovvero un invito a condividere l’atmosfera unica e le vibrazioni positive che caratterizzano da sempre tale manifestazione.
Per l’occasione sono stati allestiti diversi palchi sfruttando ogni ambiente (dalla cavea, alle sale Petrassi e Sinopoli, al Teatro Studio, ai Foyer Sinopoli e Petrassi fino allo Spazio Risonanze), dove ogni angolo disponibile è stato riempito da un numeroso ed eterogeneo pubblico.
Nelle due giornate si sono succeduti dj storici come Afrika Bambaataa e nomi celebri come Lindstrøm, Sebastien Tellier o Squarepusher. Impossibile non citare la spettacolare performance dei Frank Sent Us che hanno elaborato un approccio multisensoriale applicato alla musica e all’arte visiva fino a creare un’interazione tra di esse. Inoltre, la trasmissione radiofonica Mixology, ha selezionato tre promesse della musica elettronica della scena italiana: SpinOFF, Herva e Duwka, giovani leve che hanno saputo tener testa con i loro live set ai veterani.
La grande novità del 2012 è l’inserimento, a cura del collettivo dei Santasangre, degli interventi di quattro artisti visivi nazionali chiamati a reinterpretare l’area dei foyer, con opere in linea con il clima musicale dell’evento.
Richiama le sonorità elettro-funk, che riecheggiavano fuori e dentro lo stabile, Carlo Bernardini (Viterbo, 1966 – vive e lavora a Milano) con Corporeità della Luce ovvero un disegno luminoso composto di fibre ottiche colorate che ridefiniscono i confini strutturali dell’edificio, creando un’architettura mentale, incorporea ma visibile. Una silhouette che cambia secondo i punti di vista e degli spostamenti dello spettatore, che si trova a vivere dentro l’opera. Carlo lavora con questo materiale luminoso fin dal 1996. Da allora espone in mostre di settore e nei festival internazionali dedicati alla light art e ai linguaggi sperimentali multimediali. La sua attenzione si rivolge al rapporto dialettico tra la linea e il monocromo, quali momenti diversificati della concezione raffigurativa spazio-luce. L’elemento della linea serve per tracciare ciò che è invisibile in un luogo. La sua ricerca visiva s’incentra, oggi, sul concetto di trasformazione percettiva dello spazio attraverso opere tese fra dimensione scultorea e installativa.
Mentre, Daniele Puppi (Pordenone, 1970 – vive e lavora a Roma e a Londra) presenta Fatica n.26, due video proiezioni incrociate realizzate nel 2004 negli spazi della Lisson Gallery, a Londra. Daniele lavora sull’ambiente registrando dinamiche e sinergie che si generano fra il luogo e il soggetto che lo pratica. Ogni lavoro intitolato Fatica, seguito da un numero, riprende l’artista stesso che compie un’azione all’interno di una location trasformandola ed evidenziando nuovi aspetti e possibili esperienze in essa celate. Durante la proiezione dell’installazione video-sonora si origina una sovrapposizione tra il mondo virtuale e quello reale rivelando le energie latenti in ambienti quotidiani. “Ogni spazio è una realtà con una sua vita propria una sua essenza da percepire”, ha scritto Daniele Puppi in un suo autoritratto pubblicato su Tema Celeste, “In sé è potenziale di forze in movimento. Uno ‘spostamento’ inedito ne può far scaturire qualità e caratteristiche inespresse.”. Il suo video consiste in una mano umana di grandi dimensioni che colpisce una superficie verticale, dando vita a un rumore potente, mostruoso ma affascinante che ben si collega con i suoni elettro-funk.
Con l’evanescente Museum Donato Piccolo (Roma, 1976 – vive e lavora a Roma) esibisce opere che approfondiscono fenomeni naturali, fisici, biologici e scientifici che sono alla base della vita, utilizzando le emozioni come strumento percettivo. Protagonista assoluto è il vapore generato da strane macchine come una teca, dove l’esalazione diventa un fiume orizzontale sospeso nel nulla, una fune che acquista e perde consistenza ma che viene tesa da due forze invisibili. E’ impossibile scoprire a occhio nudo a quale forza naturale obbedisca. Infatti, Donato afferma che “non tutte le macchine costruite dall’uomo devono per forza essere utili”, ma possono essere realizzate solo per la sorpresa estetica, per una comprensione più profonda del mondo naturale o per comunicare la propria umana intenzionalità. Una ricerca, la sua, che s’inserisce in un filone poco seguito in Italia, ma in voga nel resto d’Europa e degli Stati Uniti. Scopo della sua arte è creare lavori che, nei loro movimenti imprevedibili, lascino il fruitore estasiato e incredulo di ciò che ha appena udito o visto.
Infine, Alessandro Rosa (vive e lavora a Roma) presenta Plexus: un volume sferico sospeso dove si generano continue trasfigurazione delle dinamiche di rete 3D. Le sue video-installazioni non evocano nulla, né rimandano a divagazioni semantiche. Linguaggi iconici e linguistici, realizzati in 3D, coinvolgono e attraggono lo spettatore per l’uso di idiomi universali. Ne deriva un’esperienza difficile da raccontare… e tutta da esperire.
Per pochi giorni l’Auditorium si è trasformato in un club underground di stampo europeo, dove, la positiva integrazione tra arte musicale e visiva ha dato vita a inedite e coinvolgenti performance. Un appuntamento unico a Roma che ci auguriamo continui a essere riproposto nei prossimi anni.