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Non stiamo qui a pettinare le bambole

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Non stiamo qui a pettinare le bambole è la personale di Roberto Silvestrini Garcia presso la Galleria Whitecubealpigneto di Roma che si è conclusa qualche giorno fa.
Un titolo più azzeccato non lo potevano trovare gli organizzatori della mostra, un’espressione tipicamente romana per sottolineare l’impegno in una situazione o azione che si sta svolgendo.
Difatti, l’evento di cui vi parliamo oggi conclude il ciclo espositivo “Il prossimo mio”, un progetto promosso dalla Galleria Whitecubealpigneto che ha avuto inizio nel 2010 e ha raccolto la partecipazione di artisti nazionali ed internazionali, i quali si sono cimentati in un vero e proprio laboratorio artistico per presentare i sei obiettivi fissati dall’ONU da raggiungere entro il 2015. Come dire: impara l’arte e a non metterla da parte.

Tra i sei obiettivi c’è anche quello di combattere le malattie infettive trasmesse attraverso i rapporti sessuali che Roberto Silvestrini Garcia, artista e designer nato a Caracas, ha voluto rielaborare attraverso le sue opere esposte per l’occasione che, a dirla tutta, ben si prestano all’”ossessione” di questo mese: il sesso nelle sue svariate ossessioni.
Mentre nel 2009 aveva stupito tutti con la mostra SESSO MANGA RELIGIONE, in cui aveva realizzato collage digitali fotografici successivamente trasformati in Manga e stampati su tela e ridipinti a cera con parti di affresco, in “Non stiamo qui a pettinare le bambole” Roberto Silvestrini Garcia sceglie come soggetto delle sue composizioni le bambole: avete capito bene, sì proprio loro, le bambole, quegli esseri di plastica dotati di tutte le parti del corpo visibili che fanno la gioia di milioni di bambine e che puntualmente dopo una stagione di felicità, durata più o meno qualche mese, finiscono nei cestini della spazzatura, per lasciare posto a nuove deliziose creature di plastica.
Bambole e parti di esse in diverse situazioni e contesti quasi completamente visibili ad occhio nudo sono state incorniciate e fotografate in immagini di vari formati, le quali si possono solo osservare con una lente di ingrandimento pendente, testata personalmente. Un modo alternativo con cui soddisfare la curiosità dello spettatore.

Amburgo, Napoli e New York sono le tre città simbolo di questa mostra, tre momenti in cui l’artista ha raccolto i pezzi delle sue creature di plastica per documentarci il loro ciclo di vita tra le vetrine di un negozio di lusso e i bidoni della spazzatura.
Dimenticate, rotte e senza dignità, sono le condizioni in cui versano alcune delle bambole poste sotto la trasformazione dell’artista, il quale, se da una parte ci fa sorridere con le sue creature rielaborate, dall’altra ci pone di fronte all’immagine della bambola come un corpo su cui è lecito abusare, un soggetto che si trasforma in oggetto di un desiderio da soddisfare. Come il sesso a pagamento con un corpo sconosciuto.

Roberto Silvestrini Garcia non si è fatto mancare proprio nulla per la sua officina di bambole: dalla lente d’ingrandimento spuntano bambolotti con lunghi attributi maschili da fare invidia a qualcuno, braccia e visi senza le rispettive parti mancanti, persino un Pinocchio in versione viagra che ricorda un politico della sua stessa statura fisica e morale.
È questo lo scopo dell’artista, proprio quello di mostrarci caricature di soggetti veri, esseri umani che, come bambole, vengono svuotati di ogni emozione e abbandonati a sé stessi, in attesa di una redenzione, mentre si nutrono di labilità e inettitudine di fronte al tempo.

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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