Nowhere Festival: l’ayahuasca musicale all’Ex Dogana
Non è un festival che ama i clamori, il Nowhere di Roma. È primario, puro e semplice, come le grafiche scelte dalla curatela. O bianco o nero. È un’apparizione fulminea, di quelle che non sai bene da dove siano spuntate, che abbagliano e annebbiano la vista e, quando la musica lentamente scema, nel naturale epilogo delle cose più belle, rende tutto bianchissimo e luminoso. Gli occhi ancora sotto shock fanno fatica a riabituarsi alla luce naturale, quella luce in cui siamo abituati a muoverci, giorno dopo giorni con gesti uguali a loro stessi.
Muove dal pensiero di Marc Augé e dalla sua ritrattistica dei non-luoghi, antri e stazioni di passaggio, luoghi teatro di gesti meccanici e ripetitivi che nulla hanno a che vedere con quel fervore passionale di certe emozioni. Sono luoghi che non esistono, proprio perché, a furia di vederli e rivederli, li percorriamo senza accorgercene, cavie di laboratori routinari che annichiliscono e che ci fanno dimenticare non dove andiamo, ma perché. È come lo vedi, senza fronzoli e sovrastrutture. I nomi li presenta senza troppo mistero, il Nowhere Festival, e sono la sorpresa più grande. Non sa che farsene delle sfumature, perché quelle ci pensano a crearle i musicisti scelti a comporre la line-up. Dopo la preview del 15 aprile, con il live di William Basinski, ritorna per mostrarsi in toto.
Tra venerdì e sabato però, LSWHR, le teste che si celano dietro il Nowhere – giunto ormai alla tera edizione – ci chiedono di fermarci ad ascoltare Babyfather, nuovo progetto ipnotico di Dean Blunt che durante la preview del Club To Club all’ex Aramis di Milano ci ha messo in testa quei loop e quel ritmo cantilenante, profondo e sporco, difficile da scrollarsi di dosso. Ci chiedono di stare in prima fila per non perderci nemmeno un secondo del dream team Hot Shotz – formato da Powell e Lorenzo Senni, diUnit Moebius, medusa techno-acid dell’olandese Den Haag, di Luciano Lamanna, storica figura del panorama musicale nostrano e dei neonati Punctum, progetto di Carlo Maria e Caterina Barbieri, sacerdotessa del Buchla, giovane e appassionata stella nascente di quelle sonorità colte, che della ricerca fanno il loro vademecum e della sperimentazione il loro pane quotidiano.
Ci stupiscono così, senza darci il tempo di realizzare. E mentre noi ci muoviamo a tastoni in posti ancora da scoprire, loro ce la fanno vedere con occhi nuovi l’Ex Dogana, cancellando qualsiasi latitudine a cui far riferimento. Non ci resta che ascoltare, il resto verremo a chiedervelo una volta che sarà tutto finito e, quando i fumi dell’ayahuasca musicale saranno evaporati, siamo certi che ognuno avrà la sua personalissima storia da raccontare o tenere per sé.