Oreste Pipolo, il fotografo di matrimoni
Lo studio di Oreste Pipolo è in via Duomo, nel cuore del centro storico di Napoli. Il suo portone rosso ed i suoi scatti in vetrina ci permettono di riconoscerlo facilmente. In un ambiente moderno e personale il “fotoamatore”, così ama definirsi Oreste Pipolo, ci accoglie insieme alla sua collaboratrice, intenta a scegliere le foto più belle dell’ultimo matrimonio. Tutto è cerimonia. Tutto è allegria e colore. Ci sono spose dappertutto. Ci accoglie, si siede su una poltrona, accende una sigaretta ed è un fiume di parole.
Come e quando ha incominciato a interessarsi di fotografia?
È stata sicuramente una scelta forzata. A unidici anni o si andava a scuola o si andava a lavorare e io ho preferito lavorare. Avevo la passione per la fotografia da piccolo ed ho iniziato a coltivare questa passione.
Il motivo principale è stato di natura economica?
Si, se si pensa che stiamo parlando degli anni sessanta. Anche la scelta del tema è stata di tipo economico, perché mi sono accorto che a Napoli l’unica fonte di guadagno era quella di dedicarsi alla fotografia di cerimonia come potevano essere matrimoni, le comunioni o i battesimi. Chiunque ama la fotografia per poter avere un contatto immediato si è avvicinato alla fotografia della famiglia della cerimonia. Sicuramente mi sarebbe piaciuto di più dedicarmi alla fotografia teatrale, ma non c’era spazio in quegli anni per poter entrare in quell’ambito, ho fatto qualcosa in alcuni teatri, ma non mi venivano commissionati i lavori e andavo io di spontanea volontà a fotografare gli attori, a cui poi consegnavo le foto.
Anche nel matrimonio però vi è una sorta di teatralità?
Il matrimonio a Napoli l’ho sempre vissuto in modo molto teatrale nel significato della parola stessa. La teatralità c’è perché, in generale da noi, si è abituati alla fotografia dell’apparire. Quando si riesce a non far vedere la sbadataggine che ci può essere dietro una famiglia già quella è teatralità.
Questo accade principalmente a Napoli, che io ritengo la capitale del matrimonio.
Quindi esiste differenza tra il matrimonio napoletano e gli altri matrimoni?
Certo, c’è molta differenza. Da noi c’è proprio una ricerca, anche chi non se lo può permettere, organizza tutti i preparativi solo per apparire.
Come trova sempre nuovi stimoli trattando sempre con lo stesso tema? E come cambia la scelta della location?
Non ci sono particolari studi. Cerco di vivere il matrimonio nella mia città a 360 gradi. Nella fotografia del matrimonio mi piace che ci sia un ricordo della giornata. Attraverso il matrimonio tu puoi raccontare, con tanti anni di lavoro, usi e costumi della tua città e poterne vedere i cambiamenti proprio attraverso le foto dei matrimoni. Può succedere di trovarsi a Piazza Plebiscito dove c’è una manifestazione di disoccupati organizzati e tu in quel momento fai una fotografia. Faccio un genere di fotografia diverso dal genere canonico, evitando il panoramico preferendo la quotidianità della città.
È questa la formula per non annoiarsi?
Diciamo che devo ringraziare chi ha sempre detto che la fotografia dei matrimoni era una fotografia sterile, intesa come fotografia che non diceva niente, chi ha considerato questo mestiere come fotografia di serie b. Devo dire che grazie a loro sono riuscito a impormi in questo genere di lavoro e a trovare sempre nuovi stimoli. Nel momento in cui gli altri che contano a livello di fotografia internazionale si sono interessati a me, ho preso coscienza di voler essere Oreste Pipolo “fotografo di matrimoni”. Questo grazie anche a Ferdinando Scianna che sul Sole 24 ore parla di me come lo sciamano delle spose, citandomi nel libro “occhio indiscreto” dove cita fotografi del calibro di Oliviero Toscani e Cartier Bresson.
Che tipo di clientela si rivolge a lei?
Chi si rivolge a me o è un fotoamatore evoluto o vuole avere il mio nome sulle sue foto. La committenza varia. Le persone che venivano da me solo per apparire sono quelle che alla fine mi hanno fatto crescere di più, perché potevo lavorare come volevo e avevo piena libertà. A Napoli in quel giorno non si bada a spese. Anche nei testi teatrali di Viviani e di De filippo si racconta che c’era il commerciante che non spendeva una lira e risparmiava per comprare il corredo alla figlia, sono culture prettamente meridionali. Il matrimonio è sempre stato un palcoscenico per esibirsi. Non esiste un cantante che nel napoletano può dire di non aver mai fatto matrimoni.
Com’ è cambiato il modo di fotografare utilizzando le nuove tecnologie?
Nonostante il passaggio dall’analogico al digitale spiego sempre nei miei laboratori o nelle convention che anche negli scatti in digitale bisogna pensare alla pellicola. Il vero fotografo fa già lo scatto perfetto.
Ed il ritocco?
Il ritocco è sempre esistito, basta solo trattare il computer come se fosse una sorta di camera oscura e non stravolgere troppo la foto. Il vero fotografo toglie dallo scatto la carta che c’è a terra, si sposta e cambia inquadratura, non scatta a caso per poi ritagliarla al computer. Altrimenti non è più fotografia. Fotografia significa immortalare, significa fermare quel momento.
Esiste il rischio che con la fotografia digitale tutti si sentano un po’ fotografi?
Non credo. La prima cosa è capire chi ci si trova davanti , la seconda è catturare dal soggetto le emozioni e la fotogenia. Terza cosa è indispensabile fare 20/30scatti personali non da vendere, senza pensare al cliente. È qua la differenza tra il fotografo e chi non lo è.
Quindi anche nelle sue mani esiste chi non è fotogenico?
Si. Alle volte la fotografia non è quella che si fa con la macchina fotografica, ma è quella che si fa nel momento dell’incontro. L’importante è avere quella sensibilità per prendere quel filo che ti lega al soggetto che hai davanti. La prima foto è fatta con gli occhi. È come lo scrittore che, usando la penna, fa una foto senza macchina fotografica, trasmettendo luoghi e emozioni. Anche quello è un grande fotografo.
Da poco ha tenuto un workshop “Matrimonio nei vicoli di Napoli”, com’è cambiata la città?
Non è cambiata Napoli, è cambiata tutta l’umanità. C’è molto arrivismo, tutti vogliono essere protagonisti e nessuno vuole fare la gavetta.
Un collega che stima?
Ci sono dei colleghi che stimo, ma posso dire di stimare di più un giovane appassionato di fotografia. Mi sono sempre chiesto perché ci fosse una forma di snobismo verso il fotografo di matrimoni. Sono arrivato alla conclusione che in questo tipo di fotografia si arriva subito, non è necessaria la passione iniziale quindi può capitare che alcuni di questi fotografi manchino di cultura. Molti di loro non cercano di crescere. Io ho solo cercato di ribaltare quel concetto di fotografia sterile legato a questo tema. Per quanto riguarda i miei colleghi, non è da me dire chi è bravo e chi no, perché neanche io mi ritengo bravo. Non so giudicare la foto di un altro. Non sta a me il giudizio. Quando mi renderò conto di essere Oreste Pipolo significa che non avrò più niente da dire.
Quindi l’unico interesse è soddisfare il cliente?
È normale che sia cosi. Io non mi considero un’artista, è comunque una parola molto grande. Molti dicono di essere artisti fotografi. Poi se tu ti reputi artista allora Caravaggio caddà ricer’!?
C’è mai stato qualche cliente scontento delle foto?
Capita. Può essere che chi non è contento delle foto è chi non è contento di se stesso. Io sono solo il tuo specchio in quel momento, sono l’unica cosa vera, non posso essere finto. Se mi chiedi se i tuoi capelli sono fuori posto ti dirò: ” si, i tuoi capelli sono fuori posto” e non troverai nessuno che per affetto ti dirà la verità. Ti diranno che sei bella e tu ti sentirai ancora più ridicola perché tutti ti assecondano solo perché sei la sposa. Quello che consiglio sempre alle spose: “non andate mai a comprare il vostro vestito con la mamma, qualunque cosa ti metti addosso la mamma comincia a piangere e ti dirà sempre cumm’ sì bella figlia mia”.
Un matrimonio strano che le è capitato?
Ma non so… Nell’ultimo matrimonio la sposa saliva su una Jeep enorme usando la scala, circondata da una trentina di amici tutti in moto. Ma attenzione, se lo fai solo per esibizionismo e non sei così nella vita non ha più senso.
C’è una foto di cui è particolarmente orgoglioso?
Si, ce ne sono parecchie. In realtà dico che mi pagano per sopportarli, è difficile perché oggi le persone hanno una tale personalità che non è facile coinvolgerle e farle stare in una foto. Non puoi annientare il loro carattere, devi riuscire a entrare nel loro mondo, questa è fotografia.
Lei come si definisce?
Un fotoamatore. A Napoli c’è una rivalità pazzesca. È più probabile che un giovane ti apprezzi e non un fotografo che ha uno studio da trent’anni. Tantissimi miei colleghi svalutano il lavoro di giovani emergenti dicendo: “Ma tu sei giovane, che vuoi capire! Io sono trent’anni che faccio il fotografo”. Questi atteggiamenti non li sopporto e scusate il mio colorito napoletano “ma si per trent’anni le fatt’ sempr na chiavica…che parl a fà?!”.
L’intervista è finita. Ma continua la visita nell’atelier tra le foto che Pipolo ci mostra con orgoglio. Nel ringraziarlo della sua disponibilità, ci scusiamo per non aver tradotto alcune sue affermazioni in napoletano. In Italiano avrebbero perso tutta la loro carica.
Testi di Lia Zanda e Stefania Annese. Foto di Lia Zanda.
Per chi vuole approfondire: orestepipolo.it