Over the Wall: sguardi indiscreti sulla street art italiana
Abbiamo conosciuto Livio Ninni al vernissage della mostra fotografica Over the Wall lo scorso 30 Settembre alla galleria Studio D’Ars di Milano. Il progetto è esattamente quello che ogni appassionato di street art avrebbe voluto realizzare per primo: immortalare i più famosi writer italiani nei loro laboratori, circondati da tele e macchie di colore. Sbirciare il dietro le quinte dello spettacolo, ma ancora di più il viso nascosto dietro allo pseudonimo di chi assalta il grigio delle nostre città. Andare oltre il muro, come indica il titolo. Livio è nato in provincia di Torino nel 1989, lavora come fotografo professionista dopo aver alternato per un po’ di anni studi e lavoro come assistente. E’ bravo e soprattutto molto giovane. Con le foto di “Over the wall” ha vinto il premio Nikon Talents sezione Young ad Artissima nel 2013 grazie ad un mix ben riuscito di ritrattistica e postproduzione. Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire cosa lo ha spinto a mettersi sulle tracce dei writers per fotografarli da vicino invece di andare in giro a sbronzarsi e basta come tanti ragazzi della sua età.
Qual è stato il tuo primo approccio con la street art?
Il mio primo approccio è iniziato negli anni delle scuole superiori, in un momento in cui cercavo nuovi interessi e hobby. Ho provato con la musica, iniziando a suonare la chitarra e stancandomi presto, allora mi sono avvicinato al mondo della street art, disegnando con un mio compagno di scuola bozzetti su carta anziché seguire le lezioni, fino ad arrivare a dipingere su muro. Accorgendomi di non essere molto portato, mi avvicinai in seguito alla fotografia.
Sono entrato “ufficialmente” nel mondo della street art nel 2011/2012 iniziando a seguire, documentando fotograficamente, alcuni eventi di street art a Torino, fino ad arrivare all’estate del 2012 seguendo da vicino i Truly Design, una crew torinese, in occasione del SAM (street art museum), un progetto di riqualificazione urbana del parco Michellotti (ex zoo di Torino). Ho realizzato un reportage partendo dallo studio del disegno, dalle bozze iniziali, fino ad arrivare alla foto finale dell’opera muraria, che consisteva in un anamorfismo dal titolo Global Warning.
Durante questo lavoro ho conosciuto altri artisti che dipingevano in contemporanea al parco, organizzatori di eventi, fruitori di quest’arte. Così ho iniziato a seguire atri eventi, che mi hanno portato nell’autunno del 2012 ad iniziare il progetto fotografico Over the Wall – portraits of street artists.
E quello con la fotografia?
Avevo 16/17 anni e tanta voglia di trovarmi un posto nel mondo. Mi sono avvicinato alla fotografia un po’ per caso, ritrovandomi la macchinetta compatta di mio padre in mano, durante le vacanze o in altre occasioni. Ho iniziato a fare fotografie ai miei amici la sera quando si usciva insieme, mi sono formato inizialmente da autodidatta, fino a convincere i miei genitori ad acquistarmi un corso di fotografia digitale in dvd, erano una cinquantina e li avrò visti almeno 2-3 volte ciascuno. E’ diventato negli ultimi anni delle superiori il mio unico hobby, interesse e passatempo. Dopo le superiori ho iniziato scienze della comunicazione all’università di Torino, nel mentre ho frequentato altri corsi di fotografia, fino a realizzare di voler far diventare quell’hobby un lavoro, quindi seguire questa passione, passione intesa come sacrificio, lavoro, pratica, studio e ancora sacrificio. Ho iniziato a cercare lavoro come assistente fotografo, penso di aver chiesto alla maggior parte dei fotografi di Torino, fino ad arrivare a conoscere due fotografi che mi hanno aperto un mondo, Marino Ravani e Paolo Ranzani. Tutti e due di Torino, tutti e due maestri che mi hanno fatto vedere e conoscere davvero il lavoro di fotografo. Ho imparato molto da loro. Ho lavorato come assistente per un anno e mezzo da Ranzani. Nel 2013 ho deciso di iniziare la mia attività come fotografo freelance.
Cosa spinge un ragazzo di 23 anni a iniziare un progetto fotografico sulla vita dei writer?
Penso sia stato il fascino che mi hanno trasmesso questi artisti, l’illegalità, la creatività, la tecnica, lo stile, le differenze tra di loro ma tutti comunque amici, con una cosa in comune che li rende un gruppo, tutti dalla stessa parte. Poi la bellezza della street art, quanto bene faccia quest’arte alle nostre città grigie, un modo di esprimersi unico. Quest’arte arriva a tutti ed è libera. È sulla strada per andare a lavoro o per andare a mangiare una pizza, ognuno è libero di farsi la sua idea e di giudicarla. Nessuno però sa chi la concepisce, chi la realizza, come, dove, perché, chi si nasconde dietro quella tag? Questo è quello che ho provato a fare io, andando a ritrarre questi artisti nei loro laboratori, mostrando il loro mondo. Continuerò a farlo, fotografando gli artisti all’opera, magari con altri progetti futuri.
Hai messo in luce un processo dell’arte di strada che molti dimenticano: la fase preparatoria delle opere, cioè tutto ciò che precede il corpo a corpo con lo spazio urbano.
Cosa ti ha colpito di più dei laboratori degli artisti che hai fotografato?
Ogni laboratorio, studio o casa di questi artisti li raffigura. Sono entrato in laboratori disordinati, oppure minuziosamente ordinati, ma tutti mettevano in mostra il carattere dell’artista. In alcuni casi quando conoscevo l’artista sul momento, quindi le uniche cose che conoscevo di lui erano le sue opere, rimanevo sorpreso all’arrivo nel suo laboratorio. Ad esempio, Vesod è una artista molto preciso nelle sue opere, è un matematico che segue determinate geometrie nelle sue raffigurazioni, ma entrare nel suo studio, posizionare le luci e realizzare le fotografie è stata un “impresa”, abbiamo dovuto spostare bombolette spray da terra, valigie, fogli, ecc., per trovare lo spazio e realizzare il ritratto (avrei lasciato tutto così com’era, ma mi serviva un po’ di spazio). Conoscendolo pian piano di persona però, ho capito che non potevo aspettarmi altro dal suo laboratorio.
Romeo, anche lui, è un artista molto preciso e minuzioso nelle sue opere e così anche la sua casa. Quando sono arrivato da lui aveva già preparato tutto, tutto posizionato in un ordine preciso, pennini dal più piccolo al più grande, inchiostri, pennelli nei barattoli, insomma tutto in ordine. Ogni artista ha il suo carattere che si riscontra nei loro laboratori.
Mostrare il viso di artisti che vivono “nell’ombra” suona un po’ come una sfida. Hai ricevuto dei rifiuti alla richiesta di lasciarsi immortalare?
Certo, ho ricevuto qualche no. Ma potevo aspettarmelo, arrivano dall’illegale, non sono predisposti a mettersi in mostra, non amano farsi notare. Infatti alcuni di loro hanno deciso di coprirsi il viso, cosa che ho molto apprezzato perché riuscivano a rafforzare ancora di più il significato delle mie fotografie. Ad esempio Frabiancoshock che si è coperto il volto con un passamontagna, oppure 2501 con una maschera come anche Alessandro Caligaris, Rems182 con le mani, MP5 con il cappello. Anche questo lato fa parte del loro carattere, del loro modo di vivere la street art.
Di tutte le foto di “Over the wall” quale credi ti sia riuscita meglio e perché?
Molto molto difficile rispondere a questa domanda. Forse posso dirvi quella a cui sono più legato. E’ stato il primo ritratto dell’intero progetto. E’ il ritratto di Rems, con questa fotografia più quella di Ortcanoodles e Tenente ho vinto il primo premio al NIKON TALENTS del 2013 (http://talents.nikonclub.it/nikon-talents-2013/vincitori.php). La fotografia di Rems penso che lo raffiguri al meglio, è in linea sia con il suo carattere che con le sue opere. Essendo stato il primo ritratto è stato anche il più faticoso, dove ho passato più tempo, sia in fase di scatto che di post-produzione, per questo è stato anche studiato meglio e meno improvvisato. E’ stata la base dalla quale partire per l’intero progetto, cercando e trovando la linea ed il legame giusto da dare anche a tutte le altre fotografie. Sono stato due giorni circa in post-produzione per arrivare al risultato che mi ero prefissato in testa.
Sei nato a Moncalieri. Com’è Torino vista con gli occhi di un fotografo?
Io amo la mia città, dall’architettura, alla cultura e all’arte, ma soprattutto la trovo stimolante per me e per il mio lavoro. Le persone, le situazioni, i luoghi, sono fonte di ispirazione. La street art tra l’altro è molto vissuta in questa città. Sta prendendo sempre più piede con nuove iniziative e nuove realtà come il SAMO o come lo Street Art Tour e anche questo per me la rende interessante sotto il punto di vista lavorativo.
Per saperne di più:
Livio Ninni | sito – facebook