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Paolo Scarfone, l’artista che non sapeva di aver vinto

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All’ombra del castello di Arcidosso io e La Germanz abbiamo avuto modo di conoscere il vincitore della quarta edizione di Alterazioni, Paolo Scarfone, solo 24 anni, tante pagine di Calvino lette e modi pacati e gentili. Paolo ci ha parlato del com’è esprimersi con una materia prima complessa come la carta artigianale nell’era del digitale, del progetto per i diritti dei detenuti “Le urla dal silenzio” e delle sue prossime sfide artistiche.
Dimenticate per un attimo la geolocalizzazione dello smartphone e concedetevi il tempo per leggerla.

Foto di Alessandro Rossi

La Germanz: Ti aspettavi di vincere il primo premio di Alterazioni 2013? Come ci si sente?

 

Veramente no e non lo dico per fare il ruffiano. Credevo nella potenzialità del mio lavoro, mi faceva molto piacere esserci vista l’organizzazione e la location ma non mi aspettavo di vincere anche perché vedendo i vari artisti e la qualità delle opere esposte la consideravo una cosa difficile quindi è stato doppiamente piacevole.

 

Eva: Parlaci dell’opera con cui hai vinto.

 

Il lavoro è nato pensando all’idea di paesaggio e alla sua rappresentazione ed è un’opera composta da paesaggi della mia città natale, Catanzaro, presi da Google Maps e elaborati su Photoshop.
È una ricerca sulle origini intesa come passato, come memoria ed è per questo che i pallini si ripetono e sono molto vicini.È  un rimando ad una memoria confusa, perché credo che la memoria non è cronologicamente scandita ma è tutto un bagaglio confuso e un processo che porta a quello che sei oggi. Tutt’altro che paesaggistiche invece sono le immagini dei paesaggi perché mentre vedi il paesaggio ti immagini esattamente come è ma è esattamente il contrario: prendere da internet le immagini, la sedia davanti ad un pc nella penombra di una camera è la cosa più lontana dalla natura. Quindi la parte paesaggistica è la carta, l’utilizzo della carta lavorata a mano, quello che non si vede è proprio la parte più paesaggistica, perché più sono le foto e meno è la fruizione del paesaggio: è la denuncia esasperata del tentativo di esplicare la memoria su un tabulato di cerchi e in più vivere quei paesaggi che sono solo nella memoria. È l’idea della serialità, l’idea del paesaggio ma al contempo c’è l’antitesi ovvero la presenza della naturalezza del supporto che nel momento in cui è fatto a mano non è più solo supporto ma è testimonianza di un processo che ti porta a contatto con la materia: dalla pianta al foglio finito.
L’antitesi nell’installazione è la leggerezza/peso nella concezione calviniana: la leggerezza che è figlia del peso e non il contrario, il piombo per terra che regge tutta la leggerezza dei fogli, questa sospensione tutta dovuta al peso.

La Germanz: Hai stampato su carta artigianale immagini di luoghi prese da Google maps. Come i nuovi media legati al web influiscono sulle nostre percezioni emotive? In cosa è cambiato il nostro rapporto con i luoghi?

 

Punto centrale della mia ricerca su più piani è proprio l’influenza del media. Oggi hai la possibilità di vedere un deserto dall’altra parte del mondo e la sempre maggiore impossibilità di emozionarti per un vento fresco, un paesaggio, un odore. C’è un accumulo di immagini e conoscenze astratte ed un’assenza totale del vivere davvero nel mondo, la nostra percezione del vissuto si tramuta in nozioni da computer. Tutto il mio lavoro è incentrato sul linguaggio-non linguaggio, su quanto può arrivare un’immagine, non intesa come un qualcosa di già visto sul web ma come un paesaggio che ti ricorda un odore che hai sentito, ed oggi è una sfida quanto mai attuale.

 

La Germanz: Tra le opere esposte ad Alterazioni quale ti ha lasciato un segno più forte?

 

“Senza ruggine” di Cosimo Casoni. Ho trovato una similitudine con il mio lavoro perché l’esposizione dell’oggetto non era altro che la prova del lavoro fatto prima, si esponeva un qualcosa di assente, il processo del togliere, raccogliere la ruggine e utilizzarla nella rappresentazione che tutto è meno che l’oggetto reale. Tutto quello che faceva parte dell’opera non ne era il fulcro ma era tutto così chiaro, corposo e violento che si capiva perfettamente, infatti pensavo vincesse quella.

Eva: Hai scelto di esprimerti attraverso una materia che richiede pazienza e dedizione, la carta artigianale, perché l’hai preferita ad altri supporti più’ “contemporanei”?

 

Ho conosciuto la carta tre anni fa quando ho frequentato un corso di produzione della carta con Laura Salvi all’Accademia delle Belle Arti di Roma.
Credo che oggi io mi riconosco molto di più in un rifugio della materia, nel modo più carnale possibile, che nell’ausilio delle tecnologie perché penso che la rivoluzione artistica non si troverà nell’interattività ma nella trasformazione della materia.
Nella lavorazione della carta non puoi modificare i tempi della produzione, decidi tu quanto di corteccia ci sta nella carta ma il vero processo è il darsi tempo, ovvero ciò che manca oggi a noi.
È la carta a dettarmi i tempi dalla materia e la sua nascita è dettata dal ciclo della natura: con l’acqua nasce e con l’acqua muore.

 

Eva: Collabori con un blog che lotta per i diritti dei detenuti, “Le urla dal silenzio”. Ce ne parli?

 

“Le urla dal silenzio” è un blog, un’associazione e una realtà che si muove a favore dei diritti dei carcerati attraverso a pubblicazione di un’opera al mese, in particolare per coloro a cui è stato imputato l’ergastolo ostativo, ovvero quell’ergastolo che rimane nel fine pena mai fin quando il carcerato non parla. Quindi si parla di pene legate ad associazioni a delinquere, ndrangheta, una serie di realtà presente nell’ambiente da cui provengo. Io penso alla pena come un mezzo per reintegrare e non per “animalizzare”, ecco perché ho sposato questa causa. A Melpignano, nel castello degli agostiniani dove è stata allestita una mostra, mi facevo buttare del gesso addosso così da ricreare quel vuoto che si porta dentro il carcerato, come una denuncia della presenza vuota di se stesso.

La Germanz: Quali sono i tuoi progetti futuri?

 

Solitamente quando mi chiudo in dei periodi di lavoro non mi fa bene pensare a come verranno impiegati, a meno che non si tratti di un site specific. Sto intraprendendo un lavoro di rivisitazione del braille legata al gioco di linguaggio-non linguaggio. Il braille è per i ciechi, ma se è solo stampato e non tangibile il cieco non sentirà nulla e il vedente non capirà nulla. Quindi si tratterà di parole che non si possono spiegare, ovvero tutte quelle che diciamo: mentre io dico “amore” nella tua testa scaturisce una tua personale memoria di “amore” che riconduci al suono, ma magari io sto parlando di altro, quindi potremmo essere una marea di nuclei separati destinati ad un capirci approssimativamente. Volevo anche intraprendere con il video un lavoro sul concetto di visibilità del paesaggio ma mancanza di possibilità reale di fruizione. Andando in profondità il paesaggio sei tu in quanto specchio di ciò che hai attorno, se sei circondato da frenesia e bulimia di immagini dove non c’è una vera fruizione ed un respiro dell’anima si arriva ad accentuare ancora di più questa solitudine ed un domani forse non ci sarà più la corrispondenza tra il mio dire “amore” per ciò che credo e il tuo capire “amore” in base al tuo passato. Cerco un legame tra quello che si vive davvero, quello che si esprime all’altro e la recezione di quest’ultimo in pieno contrasto con quella che è oggi la prassi, cioè spegnere il cervello e immettersi nella scia della mediocrità senza pensare e sognare, con ritmi rapidi e testa bassa. Sembrano luoghi comuni ma riscontro sempre più che la tendenza è proprio questa.

 

Alterazioni | sito

Paolo Scarfone | sito

 

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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