Paraísos Urbanos: Inti e la street art sudamericana
Ho incontrato Inti, mentre era di passaggio a Parigi. Dopo una lunga giornata su un’impalcatura a 30 metri di altezza, ha risposto con calma – e con una birra tra le mani – ad alcune domande sulla street art sudamericana.
La storia della street art è legata a doppio filo con internet. È su internet che gli appassionati scoprono e seguono i loro artisti preferiti e che gli artisti trovano un pubblico di fan e di collezionisti. Qual’è il tuo rapporto al web?
Ho un account Flickr, ma uso internet con moderazione, perché le immagini trasformano il lavoro degli artisti. Penso sia meglio vedere le cose dal vero, in strada. Tuttavia, internet svolge un ruolo fondamentale per il modo in cui facilita la circolazione delle informazioni.
L’Europa e il Nord America sono abituati a influenzare il resto del mondo e a decidere da cosa farsi influenzare (penso ai cubisti e all’arte africana). La street art è invece un linguaggio nuovo: le vecchie gerarchie culturali contano poco o nulla. Quali sono le principali differenze tra la street art sudamericana e quella che conosciamo in Europa?
La prima differenza è quantitativa. In Sud-America, alcune città sono invase dalla street art. Inoltre, siamo esteticamente indipendenti: il nostro stile non è un’interpretazione di quello che si è fatto in Europa cinque o dieci anni prima. Il writing sudamericano è influenzato dai muralisti degli anni ’70. La nostra old school ha poco a che vedere con New York e con l’Europa… Studiare l’arte sudamericana è come studiare l’arte europea, tanto è stata forte l’influenza dell’estetica europea nel nostro continente. Con la street art è tutta un’altra storia. Cerchiamo di ritrovare l’originalità della cultura dell’America Latina, mischiando una base culturale europea con le nostre radici.
Fuori i nomi! Chi sono gli artisti che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia della street art in Sud-America, a parte Os Gemeos, Nunca o Calma?
La lista è lunga, ma in Europa spesso non li conoscete, perché si tratta di artisti che non hanno voluto o non hanno potuto crearsi uno spazio nel mercato dell’arte. In Perù, c’è Fumakaka che vive a Lima (Fumakaka vuol dire “fumatore di fumo”, ndC), che si ispira alla pubblicità per elaborare i suoi graffiti. Mischia i colori fluo dei cartelloni pubblicitari con dei richiami sudamericani, creando uno stile inconfondibile. In Cile, ci sono gli Alapinta che sono influenzati dalla cultura dei Mapuche. I loro graffiti riflettono la visione cosmogonica della vita, la scelta e l’uso dei colori, il rapporto a Madre Natura dei Mapuche. Importano nella street art un rapporto al territorio che spesso manca in Europa. A noi basta vedere un loro pezzo, per capire che vengono dal sud del Cile.
Anche in Sud-America, la street art riscuote sempre più successo negli ultimi anni?
Il modello “festival” non è ancora diffuso come in Europa. Nel 2013, ci saranno alcuni appuntamenti importanti a Cochabamba, in Bolivia, e a Santiago, in Cile. Inoltre, ci sarà “Latir Latino” a Lima in Perù, ma non siamo organizzati come gli Europei, perché alcuni dettagli – vedi il prezzo dei colori – non permettono lavorare allo stesso modo.
In Europa, tardiamo a riconoscere il valore culturale della street art. In Italia, i musei aprono raramente le porte a questa forma d’arte. Tu cosa ne pensi?
Secondo me, si tratta di due mondi diversi. Esiste l’arte dei musei, nelle sue forme più convenzionali, e poi esistono i graffiti che non sono arte. I writers, salvo qualche eccezione, non si sentono e non vogliono diventare degli artisti. E, visto che la street art nasce dai graffiti, credo che il concetto di arte non sia iscritto nel suo DNA.
Credi di più in un approccio etnografico alla street art? Per un sudamericano, forse è più naturale. Dimmi se sbaglio, ma il Museo Nacional de Etnografía y Folklore di La Paz è o no uno dei musei più belli del Sud-America? Ricordo ancora l’emozione nelle sale dove è esposta la collezione storica dei tessuti e dei copricapi piumati!
È un museo eccezionale. Quando gli spagnoli sono arrivati in America Latina, gli indigeni proteggevano i tessuti perché li consideravano i veri tesori della loro cultura: i tessuti sono la speranza. Davano poca importanza all’oro. Volete l’oro? Servitevi, ma non toccate i nostri tessuti: sono la storia dei nostri popoli. Con la street art stiamo commettendo lo stesso errore. Invece di limitarci ad apprezzare le piume o i tessuti, proviamo ad attribuirgli un valore economico. Incoraggiamo gli artisti a chiudersi tra le mura di una galleria, piuttosto che a lavorare nello spazio pubblico. La street art non è fatta per i musei d’arte. Bisognerebbe conservarla non per il suo valore estetico, ma per il suo valore storico e culturale. Cioè in un museo antropologico e non artistico… per questo in Sud-America, facciamo distinzione tra musei archeologici e musei di arte precolombiana.
Una versione più estesa di questa intervista è disponibile sul mio blog: http://legrandj.eu/article/inti_e_la_street_art_altra_del_sudamerica
Per saperne di più:
Inti: https://www.facebook.com/INTI.INTI.INTI?fref=ts
Fumakaka: http://www.fumakaka.com/
Alapinta: http://alapinta.cl/