Partire è umano, ritornare è diabolico | Enrie
Storie di migrazioni nell’era digitale, di Erasmus e cosmopoliti, traslocatori di professione e sognatori per necessità partiti per mete lontane e tornati alla base come in un videogioco che parte dall’ultimo livello e arriva alla partenza, che altro non è che un inizio più insolito degli altri. A casa hanno trovato ad aspettarli convivenze anacronistiche con genitori che ti chiamano alle undici per sapere dove sei, amici lontani o partiti, luoghi di sempre che di sempre non sono più, vite e lavori dei sogni da ricreare da zero, vecchie abitudini da sistemare nel vecchio armadio a due ante, allucinazioni lucide delle esperienze trascorse. Ma anche passione, ostinazione e un po’ di saggezza comprata con i souvenir in aeroporto prima di ripartire. Dal mondo all’Italia, dalla grande città al piccolo paese, dal fuori al dentro, le facce e le voci di chi fa il percorso inverso e sfugge ai racconti dei media. Emigranti di ritorno. R-emigranti.
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Oggi vi aspetta la storia di Enrie e dal suo primo piano potete intuire che nella vita non fa il commesso in un ferramenta ma un lavoro ambito da tanti e sommerso dagli stereotipi, il modello! Dopo una laurea in lingue Enrie parte da Salerno per uno stage in fashion marketing a Londra e lì impara ad amare le mille culture e sottoculture, i ristoranti etnici e i negozi di cose improponibili, ad odiare la metro ed il tasso di stress nell’aria. Londra costa, e tanto, e non si trova lavoro facilmente come nei telefilm, perciò dopo sei mesi Enrie è costretto a tornare a casa. Più che anche i belli piangono nel 2013 sarebbe anche i belli s’incazzano e leggendo l’intervista capirete perché. Ecco le risposte al vetriolo di Enrie, tornato nella nostra “repubblica fondata sul televoto”.
Raccontaci in poche e graffianti parole chi sei, cosa fai e perché sei finito tra gli emigranti di ritorno…
Mi chiamo Enrie, sono di Salerno e sono un modello e giornalista di moda. Dopo essermi laureato in Lingue e Culture Straniere sono andato a Londra per 6 mesi, durante i quali ho intrapreso uno stage di fashion marketing. Inutile dirlo, sono tornato per il motivo più scontato: finito lo stage sono finiti i soldi e, a dispetto di quanti predicano che a Londra si trovino centinaia di lavori, io non ne ho trovato uno che mi permettesse di rimanere. In realtà la crisi si sente anche lì, anche se magari non si piangono troppo addosso come in Italia.
Com’è cercare di lavorare nel mondo della moda abitando in una città dell’Italia meridionale?
Difficile, difficilissimo. C’è ancora molta ignoranza, in generale in Italia, al meridione in special modo. Molti ancora confondono gli stylist con gli stilisti, e purtroppo si fatica a lavorare in mancanza di persone che abbiano le carte in regola e gli attributi giusti per fare qualcosa di serio. Eppure i talenti ci sono, ma non si concluderà mai niente finché brand, fotografi, stylist e quant’altro vanno a scattare a Milano perché fa più figo! Finché qualcuno non si decide a fare qualcosa qui, non si creerà mai quel circuito che inizierà a far girare le cose nel verso giusto per una buona volta! Mi auguro che tra qualche anno vengano dal Nord a scattare qui, perché non ci manca nulla, anzi, abbiamo anche il vantaggio di avere delle location magnifiche!
Le caratteristiche migliori e peggiori della città in cui hai vissuto?
Di Londra amo l’offerta pazzesca, il suo essere un crocevia di culture diverse, che regala a chi la visita e chi ci vive la possibilità di scegliere cosa essere, cosa mangiare, cosa indossare, dove andare. C’è di tutto per tutti, dal ristorante etiope al negozio che vende solo cose fluorescenti, e credo che in questo sia seconda solo a New York. I punti deboli che ha sono quelli a mio parere comuni un po’ a tutte le grandi metropoli, come l’inquinamento, il sovraffollamento e, paradossalmente, un po’ la sensazione di solitudine fra tante persone, lo stress, e poi il costo della vita. Una cosa che odiavo profondamente poi era la metro, in quanto alcuni tragitti richiedono quasi un’ora tra spostamenti vari, e mi sembra assurdo che nell’underground di una delle città più grandiose del mondo non prenda il cellulare!
Rispetto ai tuoi coetanei europei in cosa è più fortunato un aspirante modello italiano? E in cosa la sfiga non gli darà mai tregua?
L’Italia tende a essere molto conservativa in tutti i campi, è poco incline al nuovo e allo sperimentare. Purtroppo se non rientri in certi parametri, in certi canoni e stereotipi o hai vita breve o ti devi fare il mazzo il doppio degli altri per ottenere la metà. C’è poca meritocrazia, non solo nel mio campo purtroppo. Siamo un Repubblica fondata sul televoto.
Lancia un monito agli stilisti emergenti italiani, è ammessa anche la crudeltà.
Mi auspico più determinazione e più serietà in quello che si fa. Imparare il valore (e il costo) di un lavoro, e magari evitare di far fare i lookbook al cugino o all’amica per risparmiare. Investite nel vostro sogno e nel vostro talento, se non lo fate, evidentemente nemmeno voi ci credete tanto, perché dovrebbero farlo gli altri? E, soprattutto, valorizzate il vostro territorio! Imparate a guardarvi in giro e a cercare intorno a voi ciò che vi serve. Ho appena visto lo show di Calzedonia, una sfilata fatta in Italia da un brand italiano, in cui la metà dei modelli erano stranieri. Poi dicono che non ci riprendiamo!
Cosa porteresti ovunque con te della tua città?
Il mare.
Come ti vedi tra 10 anni, oltre che bello da morire?
Una persona con tante storie da raccontare e troppi vestiti che non mette mai.
Hai una storia da emigrante atipico da raccontarci?
Scrivi all’indirizzo mail:
redazione@ziguline.com
e ricorda di non allegare il CV.