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Partire è umano, ritornare è diabolico | Mariacristina

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Storie di migrazioni nell’era digitale, di Erasmus e cosmopoliti, traslocatori di professione e sognatori per necessità partiti per mete lontane e tornati alla base come in un videogioco che parte dall’ultimo livello e arriva alla partenza, che altro non è che un inizio più insolito degli altri. A casa hanno trovato ad aspettarli convivenze anacronistiche con genitori che ti chiamano alle undici per sapere dove sei, amici lontani o partiti, luoghi di sempre che di sempre non sono più, vite e lavori dei sogni da ricreare da zero, vecchie abitudini da sistemare nel vecchio armadio a due ante, allucinazioni lucide delle esperienze trascorse. Ma anche passione, ostinazione e un po’ di saggezza comprata con i souvenir in aeroporto prima di ripartire. Dal mondo all’Italia, dalla grande città al piccolo paese, dal fuori al dentro, le facce e le voci di chi fa il percorso inverso e sfugge ai racconti dei media. Emigranti di ritorno. R-emigranti.

Per cominciare la nostra rubrica dedicata agli emigranti di ritorno, vi presento Mariacristina, salernitana di nascita e milanese d’adozione, curatrice d’arte per [.BOX] Videoart Project Space e Accademia di Brera con un’esperienza professionale all’attivo nella ville lumière.
Sfatiamo un po’ di luoghi comuni su chi lavora nel mondo dell’arte, sulla vita nella città più chic del mondo, sull’eterna lotta tra cappuccino e cafè au lait e ficchiamo il naso in cose che non ci riguardano. Che la controtendenza mediatica sia con noi.

Mariacristina

Cosa fa davvero una curatrice d’arte? A noi puoi dirlo.

 

Bella domanda! In teoria un curatore si occupa di tutti gli aspetti legati all’organizzazione di una mostra. In realtà è un lavoro molto più complesso che richiede abilità in più campi, dalla scrittura al fundraising alla comunicazione, ma che rende imprescindibile (almeno per me!) il rapporto diretto e costante con gli artisti in tutte le fasi del loro lavoro: dal progetto alla realizzazione in studio fino all’esposizione finale dell’opera d’arte.

 

 

Parigi è davvero bella quanto dicono. Ma da vivere ogni giorno com’è?

 

Premetto: quando si tratta di Parigi, io non sono obiettiva! Parigi è la mia città elettiva, l’ho scelta nella testa a quindici anni ed ho fatto di tutto per poterci vivere, studiare e poi lavorare. È per me il grande amore. Può essere meravigliosa, originale, unica a patto di riuscire ad allontanare dalla mente tutti i luoghi comuni che la letteratura, l’arte e il cinema le hanno confezionato intorno e viverla ogni giorno secondo il proprio stile, le proprie passioni, le proprie emozioni. Esistono mille Parigi diverse, sta a ognuno trovare quella che è più vicina alla propria anima.

 

 

Lavorare come curatrice a Parigi e a Milano. Quali sono le differenze più evidenti?

 

La prima differenza è che a Parigi non ho bisogno di spiegare che tipo di lavoro è il mio! Scherzi a parte, c’è grande sostegno da parte delle Istituzioni nei confronti della cultura e il legame tra l’università e il mondo del lavoro è molto stretto. È più facile essere rispettati per il proprio lavoro a prescindere dall’età che si ha. Se t’impegni, la tua professionalità è riconosciuta anche se hai ventisei anni. In Italia, invece, rischi di essere imbrigliato fino ai quaranta anni in una condizione di svilente precariato, sottomesso alla logica dei 1000 stage non retribuiti “perché tanto sei giovane e devi far gavetta!”

 

 

Com’è l’approccio del pubblico con l’arte nelle due città?

 

Il pubblico dell’arte non è diverso, sono diverse le opportunità. Parigi ha un’offerta culturale e artistica davvero ampia con molti musei e possibilità di ogni tipo. C’è una forte attenzione alle esigenze di ogni pubblico. II Centre Pompidou, ad esempio, ha un dipartimento didattico che funziona benissimo e che accoglie ogni anno migliaia di bambini e adolescenti. Allo stesso modo, vengono organizzati cineforum e attività collaterali alle mostre per persone di tutte le fasce d’età. A Milano, rispetto al passato, qualcosa inizia a muoversi, ma manca una visione culturale d’insieme e l’attenzione per l’arte contemporanea è ancora piuttosto scarsa. 

 

La cosa più figa di lavorare al Centre Pompidou?

 

Ogni lavoro, se fatto con passione, è il lavoro più figo del mondo! Ho sempre considerato, però, un regalo straordinario, il fatto di poter vivere il museo senza folla, negli orari che precedono l’apertura o in quelli dopo la chiusura. Ricordo grandi emozioni nell’assistere all’apertura delle casse contenenti le opere d’arte o nel vedere una mostra prima che venisse aperta al pubblico.

 

La tua giornata tipo. Com’era a Paris e com’è a Milan?

 

A Parigi mi svegliavo più o meno alle 8,30, classica doccia, solita colazione. Alle 10,00 entravo al Pompidou e ci rimanevo fino a sera. Giro di inaugurazioni, birretta con gli amici, cena notturna con quello che capitava, se capitava. A Milano, invece, la vita è più ordinata, ma anche molto meno mondana. Ho più lavori, quindi, corro da mattina a sera da un punto all’altro della città. È bello perché i giorni sono sempre diversi. È complicato perché domani, qualsiasi cosa accada, dovrò uscire là fuori e guadagnarmi la pagnotta.  

 

La cosa che più ti era mancata e quella che più ti manca.

 

Roberto, una telefonata di un’ora con un’amica, la coperta rossa dimenticata a Salerno. Di Parigi, invece, mi manca il fatto di uscire per strada e riconciliarmi ogni volta con la vita per il solo fatto di essere a Parigi.

 

In definitiva cafè au lait o cappuccino?

 

Non ne ho idea! Io non bevo né latte e né caffè.

 

Hai una storia da emigrante atipico da raccontarci?
Scrivi all’indirizzo mail:
redazione@ziguline.com

e ricorda di non allegare il CV.

la Germanz

scritto da

Questo è il suo articolo n°102

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