Partire è umano, ritornare è diabolico | Oriana
Storie di migrazioni nell’era digitale, di Erasmus e cosmopoliti, traslocatori di professione e sognatori per necessità partiti per mete lontane e tornati alla base come in un videogioco che parte dall’ultimo livello e arriva alla partenza, che altro non è che un inizio più insolito degli altri. A casa hanno trovato ad aspettarli convivenze anacronistiche con genitori che ti chiamano alle undici per sapere dove sei, amici lontani o partiti, luoghi di sempre che di sempre non sono più, vite e lavori dei sogni da ricreare da zero, vecchie abitudini da sistemare nel vecchio armadio a due ante, allucinazioni lucide delle esperienze trascorse. Ma anche passione, ostinazione e un po’ di saggezza comprata con i souvenir in aeroporto prima di ripartire. Dal mondo all’Italia, dalla grande città al piccolo paese, dal fuori al dentro, le facce e le voci di chi fa il percorso inverso e sfugge ai racconti dei media. Emigranti di ritorno. R-emigranti.
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Cuore o testa? La r-emigrante di oggi ha scelto la testa, ma a complicare le cose c’è sempre la nostalgia canaglia che ti prende proprio quando non vuoi, proprio quella di Albano e Romina. Ci sono tanti tipi di nostalgia, quella di Oriana è una nostalgia imprevista, verso una città scontrosa che con il tempo si finisce di amare più di quella familiare da cui si è partiti e che non si voleva lasciare: l’austera Trieste vissuta da una studentessa siracusana. “Tu vai lontano e perdi un po’ di ciò che sei”: non è Hikmet, e neanche Fabio Volo, è sempre Albano.
Chi sei, cosa fai e perché sei finita in questa rubrica?
Mi chiamo Oriana, vivo a Siracusa, la città in cui sono nata, e lavoro per un’impresa che opera nel settore industriale. Mi trovo in questa rubrica perché ho letto le interviste e mi ci sono ritrovata. Non credevo di essere la sola “emigrante di ritorno” ma credevo di trovare poche esperienze simili alla mia, invece mi sbagliavo.
Ho studiato lingue a Trieste e dopo un’esperienza di lavoro come commessa a Disneyland Paris 4 anni fa sono tornata volontariamente a Siracusa per cercare di costruirmi un futuro lavorativo un po’ più concreto. Il mio sogno quando studiavo a Trieste era di ritornare a casa una volta laureata perché mi mancava casa, la famiglia, le radici, ma diciamo che partire è stato molto più semplice che tornare. Ricominciare a vivere in una città piccola non tanto come prospettive ma come mentalità è stato più impegnativo del previsto.
Cosa hai trovato di diverso a Siracusa e cosa pensi non cambierà mai?
Sicuramente in tanti giovani c’è il desiderio di cambiare le cose ma non ci sono sforzi effettivi per farlo, forse per mancanza di coraggio o perché non si crede fino in fondo che sia possibile. L’ esempio simbolico per me è per la raccolta differenziata, ci si impegna nel quotidiano per farla ma poi passa il furgoncino e viene tutto rimischiato nello stesso posto.
La tua personale Trieste descritta in qualche aggettivo.
Scontrosa, fredda, grande ma piccolissima al tempo stesso, indimenticabile. Al di là della mia esperienza è un posto che non dimentichi perché non è una tipica città italiana e credo non lo sarà mai.
Hai vissuto in due città italiane simbolo da sempre della fusione di culture. Secondo te in cosa sono simili Trieste e Siracusa?
Sono simili in quanto città di frontiera, una del nord, l’altra del sud. Il campanilismo si sente in entrambe, c’è freddezza iniziale verso “gli stranieri” ma poi se si rompe il ghiaccio la città ti accoglie, a Siracusa ovviamente lo spirito di aggregazione è un po’ più chiassoso. La differenza sostanziale è che l’eredità di culture e tradizioni a Trieste è gestita meglio probabilmente per una questione di risorse.
Cosa ti piace della settentrionalità?
La puntualità, a Trieste avevo imparato ad essere puntuale. Come dice la Mannino quando parla della differenza tra milanesi e palermitani, a Milano si dice “ci vediamo alle 19 e 55” a Palermo “ci vediamo stasera” che va dalle 8 alle 10…
Come si fa a rimanere nella vita di chi è lontano tanti chilometri? I social network possono essere un mezzo di comunicazione effettivo?
Non è semplice rimanere nella vita di chi non frequenti, ci vuole impegno, pazienza, puntualità. Telefonate, mail, facebook, whatsapp sono un ottimo modo perché l’affetto per i propri amici c’è sempre ma va dimostrato con costanza, senza dare mai nulla per scontato.
Come ti vedi in futuro?
Siamo la generazione di quelli che devono reinventarsi sempre e non devono aspettarsi nulla, io spero sempre di lavorare perché senza soldi non si canta messa e spero di essere felice, non so dove ma felice, e di non avere rimpianti.
Hai una storia da emigrante atipico da raccontarci?
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e ricorda di non allegare il CV.