Polaroid
di Luca Giumento
La festa è all’ultimo piano di un palazzo che sembra volerti crollare addosso.
Quartiere decadence.
Meglio sbrigarsi a salire perché minorenni in scooter crossano audaci nella tua direzione e sembrano volersi divertire.
Signore ipertrofiche affacciate ai balconi adiacenti urlano esasperate dai decibel di musica sparati come non ci fosse più nessuno al mondo.
Entro nell’appartamento e mi presento alla padrona di casa che ricorda Sylvia Von Harden dipinta da Otto Dix, con qualche capello bianco in più. Indossa pantalone e dolcevita neri, una giacca rossa di velluto con le toppe ai gomiti. Dice di chiamarsi Matilde e aggiunge che se solo mi azzardo a darle del Lei mi sbatte fuori di casa. Ha l’aria di una che lo farebbe. Il suo Dalmata mi annusa le natiche, poi mi dà un pizzico e scappa. Matilde lo rincorre chiamandolo figlio di buona donna.
Cerco interlocutori tra la nebbia nicotinica. Sono stato invitato da amici di amici che in realtà non erano stati invitati neanche loro ma non sembra proprio che importi a qualcuno.
Un tipo che dice di chiamarsi Blue mi blocca in un angolo e inizia a raccontarmi di esperienze telepatiche da lui vissute cento per cento reali. Mi parla di poteri esponenziali della mente e di quando con la sola forza del pensiero è riuscito a uccidere una pianta: l’ha vista appassire luttuosamente davanti ai suoi occhi. Io ondeggio la testa in maniera ritmica e simulo interesse mentre cerco di stordirmi con vino scadente sorseggiato da un bicchiere di plastica rosso. E poi la storia continua con lui che riesce a guarire da un brutto incidente e si sbarazza delle stampelle senza utilizzare medicine e schifi vari, e tutti che si sbalordiscono e quasi piangono e si scusano per non avergli mai creduto prima.
Fingo di andare a cercare il bagno e lo abbandono. Mi immergo nella folla.
Gruppi di Hipster mi squadrano con aria inespressiva da dietro occhiali dalla montatura tonda. Storie di neo-trentenni ancora universitari che ingoiano famelici contro-cultura come segno di protesta e finiscono per creare flussi di tendenza e rassomigliare al loro nemico. Un ragazzo con i baffetti alla Dalì discute di patafisica con una tipa molto Nico. Lei cita L’Ubu Roi fumando in atteggiamenti anni quaranta e lancia occhiate di disprezzo verso chiunque. Sarebbero capaci di dare fuoco a un Delacroix ed elevarlo come gesto necessario per l’umanità.
Una delle ipertrofiche vicine dicasa si presenta alla porta gridando come un’ ossessa. Il Dalmata le pizzica il culo e poi scappa.
Allora mi abbandono alle danze. Dancing With Myself e sono solo.
Un piccolo elfo con un boa di piume fucsia intorno al collo e trucco pesante su tutta la faccia si agita come anguilla sbattuta in un secchio da pescatori crudeli. Si presenta come Trilly e dice di essere una famosa Drag locale. Matilde si dimena con Trilly come se non ci fosse un domani e finisce per urtare il tavolo delle bevande. Le cascate alcoliche si riversano sul Dalmata che inizia a leccarsi il pelo al Rum. Vetro ovunque. Due Barbie polacche in minigonna e calze bucate ridono incessantemente e scattano foto alla situazione. Scavalco il vetro e i flash delle polacche e mi dirigo verso la terrazza.
Le stelle sopra mi guardano e sembrano basite. Vogliono sapere che succede quaggiù. È un cielo da scena ultra-romantica srotolata in una pellicola con lui che stringe la mano a lei sdraiati su sabbia allo zucchero a velo e parole sussurrate timidamente nella penombra di un promettente inizio estate.
Improvvisamente un vaso di terracotta con fiori di Geranio annessi si frantuma a pochi centimetri da me e il pulp squarcia la sentimentale polaroid nella mia mente. Le vicine di casa stanno scagliando oggetti contro l’abitazione. Una madre aiuta il figlio teppista di dieci anni ad accendere un petardo rosso della grandezza di tre dita. Lui è fiero del consenso genitoriale e prende la mira euforico. Rientro sveltamente per non passare a miglior vita e finire su titoli di giornale con tanto di mia foto in versione splatter. Provo a cercare la padrona di casa. La vedo sfuriare contro un ragazzo che deve aver sgarrato a parlare.
“Preferisco essere chiamata puttana che Signora!” dice.
Lui si scusa penitente e cerca sguardi di sostegno.
La tipa molto Nico impreca e sbatte pugni violenti contro la porta del bagno occupato da minuti infiniti. È stata colpita da un uovo proiettile mentre usciva a fumare una sigaretta in terrazza. Proteine gelatinose le colano dalla frangia bionda sulla t-shirt a righe.
Una vichinga ubriaca fradicia rimbalza da un angolo all’altro travolgendo poveri ospiti indifesi. Gocce di sudore schizzano lontano da lei e imperlano gli occhiali degli Hipster che si allontanano all’unisono borbottando. La vichinga si toglie la camicia svelando assenza di reggiseno e la usa per asciugarsi la fronte. Mi si avvicina e mi assicura di trovarsi alla festa più bella alla quale abbia mai partecipato. Poi prova a baciarmi. Mi defilo respingendola e lei si mette a calciare sedie Luigi XIV prima di vomitare arcobaleni dentro un portaombrelli in ceramica.
Un uomo con la faccia da Joker legge ad alta voce poeti confessionali da un libretto sottile. Nessuno lo ascolta. Matilde si è addormentata sul divano con la sigaretta accesa. Il Dalmata al Rum lotta con Trilly per impossessarsi del suo boa. Piume fucsia ovunque. Sembra sia stato frullato un pollo radioattivo. Le polacche ridono e scattano foto. Due ragazzi in t-shirt gemella si strattonano rissosi, mentre improbabili coppie si aggrovigliano sui divani.
Un petardo irrompe dalla finestra e scoppia al centro della sala. Tutti urlano. Il fumo si espande come gas lacrimogeno. Il Joker continua noncurante a leggere poesie.
A questo punto lascio tutti al loro destino.
Scendo le scale e percorro cemento a grandi falcate. Slego la mia bici e raggiungo urgentemente la spiaggia. Il chiasso si allontana gradualmente da me fino ad evaporare in un ricordo. Cammino come un’ombra silente sulla sabbia.
Mi arrotolo i jeans e immergo le caviglie nell’acqua scura.
Loro si staranno dimenando ancora famelici di vita. Si dimeneranno fino all’alba. Così avidi di minuti di vita da non sprecare, di secondi ipereccitati.
Io voglio solo questo cielo stasera. O forse per sempre. Questo silenzio.
Testi di Luca Giumento. Polaroid di erdalito.
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Luca Giumento è nato a Palermo. Ha studiato Cinematografia all’Università di Roma La Sapienza. Da sempre appassionato di scrittura. È autore del racconto “Hibiscus” edito da Navarra Editore all’interno dell’antologia “Parto, vieni via con me”
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