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RAMM:ELL:ZEE aveva capito tutto

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E’ difficile non pensare come la filosofia Apple non possa rappresentare nel modo più appropriato il passaggio storico che stiamo vivendo e che un giorno ci descriverà agli occhi di eventuali pronipoti. Quella spudorata unione di selvaggio capitalismo, violazione dei diritti dei consumatori, esempio di globalizzazione totale assieme a un’apologia per la creatività umana, la sua libertà immaginativa e la sua delicatezza estetica, nonché un forte accento ecologista, difficilmente non porta alla mente la possibilità di un futuro dominato da curiosi uomini nuovi ma non troppo, da tanti Obama dal volto new-age e dalle abitudini old-style. Ora, quello che credo sia il carattere di superficie fondamentale dell’amministrazione Apple è la “filosofia del dito”: tutto l’essere uomo, nell’I-world, si concentra in una singola falange riuscendo a fare cose che imbarazzerebbero i più strenui difensori dei chakra e irridendo come inutile quella che per molti evoluzionisti è la caratteristica decisiva di tutta la nostra millenaria cultura: il pollice opponibile. Ultima premessa: tra le tante cose che necessitano il pollice opponibile ce n’è una che mi occorre sottolineare, tenere in mano una penna.

Dal momento in cui definiamo una cultura dominante attraverso la sua digitalità possiamo allora identificare una eventuale resistenza, una contro-cultura, dal suo rifiuto ad essa e dalla conseguente ripresa di ciò che nella digitalità del tasto non ha senso: la grafia. E la forma moderna più consapevole di grafia come resistenza allo schermo piatto globale non può essere che il primo graffitismo della New York City Subway. Ecco, la forma poi più consapevole di graffitismo consapevole della NYC Subway è probabilmente RAMM ELL ZEE.
RAMM ELL ZEE era un tizio che si vestiva in modo strano, un amico di Basquiat, un graffitaro e un appassionato di hip-hop. Resta famoso per aver scritto un pezzo rap per gioco, poi prodotto proprio da Basquiat, che è diventato la pietra miliare dell’hip-hop d’avanguardia e ha contribuito alla nascita di Cypress Hill e Beastie Boys. Ha poi partecipato a diversi film, e ad un certo punto ha scritto un piccolo trattato di semiotica e si è rinchiuso per trent’anni a dipingere e scolpire nel suo appartamento-studio di Tribeca, da cui non usciva mai se non vestito di armature da samurai composte di rottami fosforescenti.

I suoi scritti sono tutti dedicati alla creazione di quella che può essere definita una nuova fazione di guerra grafica ed insieme una nuova era storica, il Futurismo Gotico, di cui proprio RAMM:ELL:ZEE, nome e formula matematica, è il profeta ed il dio. E, da buon dio qual è, RAMM:ELL:ZEE non tiene conto di ciò che sono i fatti, di quella che è la verità comune, di quella che è comunemente accettato come un discorso dotato di senso, e compone insieme concetti naturali e storici, accenni alla chimica ed alla psicologia, il tutto basato su quello che sembra un obbiettivo magico, più che discorsivo. Lunghi discorsi illeggibili e riletture della storia che lo sceneggiatore di Troy – sì, quello con Brad Pitt – definirebbe fantasiose, una lettura del cosmo come basato su un eterno circolo infinito – definito la cintura di Van Allen – in cui ciò che è l’anima umana, delineata come “conoscenza elettromagnetica”, torna a vivere in evoluzione dopo essersi distaccata dal corpo portatore di disfunzionamenti. In questo senso il linguaggio portatore di conoscenza e dunque di umanità resta fondamento del circolo infinito di evoluzione, di quello che, cristianamente, si direbbe la vita eterna dell’umanità. Sennonché i romani, i russi e gli altri governi hanno violato il carattere mistico – sacro – chimico del linguaggio, ne hanno violato la natura simbolica e l’hanno costretto a separarsi dalla sua natura sonora.

In questo panorama millenario i monaci gotici, amanuensi che si riappropriano del linguaggio e della grafia (che è arte associata al linguaggio, dunque vita associata alla conoscenza, io associato a noi) sono la prima vera sacca di resistenza al potere istituito. Tutto questo discorso sfocia, infine, nella presentazione del futurismo gotico o panzerismo, ossia in una contro-cultura estrema della scrittura in cui tutte le lettere subiscono, a partire dalla classica distorisione del wild-style (lo stile dei primi writers newyorkesi) una metamorfosi in “arma”. Tutto, nel futurismo gotico, si riduce ad un linguaggio, a una conoscenza, a un arte che spara, che combatte, che si pone in avanzato antagonismo contro le trincee dei touch-screen e dei televisori ultrapiatti. Tutto, nell’arte di RAMM:ELL:ZEE, ricorda un atto di guerra colorato e accecante, un carro armato venuto da chissà quale invisibilità, un fucile che spara proiettili di gomma da masticare. Un ragazzetto magro e ben vestito che improvvisamente capisce di doversi costruire un armatura samurai e inizia a cavalcare svelto contro i nuovi mulini a vento del quartiere finanziario di Downtown Manhattan, armato dei suoi furiosi fucili fatti di frasi.
Lo so, è tutto molto complicato ed io non rendo le cose più facili. Resta il fatto che RAMM:ELL:ZEE è stato uno dei primi a capire che il writing poteva essere molto di più che un facile spunto per film sui bulli, e uno degli unici a dedicargli l’esistenza in modo così concreto e così coerente, con buona pace di tutti gli pseudo-antagonisti alla Banksy.

Uno degli unici a comprendere come la scrittura può essere qualcosa di più di una indicazione, a rendersi conto che non serve chiudere le bocche con la forza per impedire di urlare: basta prendersi tutte le parole e ridurre la scelta possibile al semplice premere un tasto. E, in uno spazio in cui il pericolo, sempre più reale, è quello di parlare solo di Schettino e di farmacisti e di palloni e di altre infinite cazzate, quello di decidere veramente solo quando si premono i pulsanti dei canali del digitale terrestre o il tasto del mouse per scorrere sulle foto dell’ennesima amicadiamici su facebook per trovare la classica posa col perizoma in spiaggia, RAMM:ELL:ZEE è uno dei pochi a ricordarci che certe volte è meglio fare come i monaci, chiudersi dentro il proprio monastero, studio o armatura di immondizia colorata e scrivere con il disperato bisogno di farci leggere da chi, almeno, ha voglia di capirci: noi stessi.

Per saperne di più: www.gothicfuturism.com

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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