Rifugiarsi nello spazio ludico di Daniel Buren
Ho molti ricordi di quand’ero bambina e a volte mi piacerebbe tornare indietro nel tempo. L’altra sera passeggiavo per strada e fui inondata da colorati palloncini ad elio, zucchero filato e bambini che si dimenavano in cerca di caramelle gommose. Quanta leggerezza, naturalezza e semplicità. Le stesse remote e piacevoli sensazioni che, qualche giorno dopo, ho avvertito nel visitare la mostra di Daniel Buren al Museo Madre.
Al piano terra, nella sala Re_PUBBLICA MADRE, c’è una grande installazione che si intitola Come un gioco di bambini e rappresenta il primo intervento dell’artista francese. L’esposizione è stata inaugurata il 24 aprile e terminerà il 30 agosto ma nel corso del 2015 ci saranno altri lavori in situ, volti a celebrare la relazione fra il museo e il pubblico, tra l’istituzione e la comunità. Quello presentato da Buren, a cura di Andrea Viliani ed Eugenio Viola, è un vero e proprio spazio ludico nel quale perdersi tra colori e forme geometriche. L’artista ci invita, nel suo kindergarten (giardino d’infanzia), a diventare parte di un gioco di costruzioni a grandezza reale.
Questo concetto è stato messo in pratica dal pedagogo tedesco Friedrich Wilhelm August Fröbel, secondo il quale il bambino, attraverso il gioco interattivo, viene indotto alle facoltà di percezione, esercizio tattile, costruzione e decostruzione. Nonostante i miei ventotto anni suonati, posta davanti a sfere, timpani triangolari, cubi, archi e cilindri,ho provato grande stupore e una meraviglia da bocca aperta. Quando eravamo piccoli ci divertivamo a costruire castelli di sabbia e anche quando non eravamo al mare, muniti di costruzioni colorate, progettavamo piccole torri che davano vita al nostro spazio immaginario del quale eravamo fieri.
Alcune volte le torri venivano distrutte da bambini un po’ più scalmanati di noi, ma questa è un’altra storia. Le strutture di Buren, in collaborazione con l’architetto Patrick Bouchaine, sono esattamente identiche nella forma ma vanno dal bianco al colorato. Nonostante ciò, mi rendo conto che la percezione è del tutto diversa e allora mi chiedo: la semplicità è così difficile? Sì e forse dobbiamo imparare a riconquistarla perché molto probabilmente l’abbiamo perduta. E’ questo il messaggio dell’artista.
La grande arte contemporanea deve essere semplice, in grado di far immedesimare il suo pubblico e non allontanarlo. Anche gli scarabocchi effettuati da un bambino hanno il loro significato nascosto, per quanto possano sembrare semplici. Mentre sto per lasciare il museo, passeggiando in questa città viva e metafisica, senza caramelle e palloncini chiaramente, mi rendo conto che c’è stato un lungo dialogo tra me e l’architettura. Catturata dai cerchi ipnotici delle strutture, vado via e attendo i prossimi interventi di questo grande maestro delle forme e dei colori.
Daniel Buren | sito