roBOt05 | Musica e oltre nell’epoca del 2.0
Il roBOt è cresciuto. Cinque edizioni in cui, anno dopo anno, i ragazzi della Shape hanno lavorato sodo per far sì che la loro creatura non rimanesse soltanto un anonimo festival di musica elettronica in più, da inserire nei nostri già abbastanza oberati calendari. No, il roBOt è diventato, in tempi veramente molto brevi, l’appuntamento – a Bologna e in Italia – per tutti gli amanti non solo della scena clubbing, ma di quello che è il panorama della cultura e dell’arte digitale a 360°. E quest’anno le cose si sono fatte in grande, e si vedono. Sarà per la pubblicità imponente diramata su tutti i possibili canali mediatici, tra cui Dj tv (e devo dire che vederne lo spot a Milano, poco prima di dirigersi al Time Warp, permette di non farti sfigurare nelle chiacchiere del salotto ‘pre clubbing’ lombardo); sarà per il ricco parterre di ospiti internazionali che, arrivati da ogni angolo del mondo, sono stati fatti convergere tra le tre location principali del festival: palazzo Re Enzo, Link e Tpo.
E non dimentichiamo, inoltre, l’evento che ha aperto questa edizione, con un’anteprima il 27 settembre al Teatro Comunale: niente di meno che il concerto-contaminazione live tra Ryuichi Sakamoto al pianoforte e Alva Noto alle sue mirabolanti creazioni audio/video. Giappone e Germania, un’incarnazione specchiata di rigore e sapienza, la precisione ai tasti e l’armonia del minimalismo che fluivano inesorabilmente dall’uno all’altro lato del palco. Brividi e attenzione massima per tutta la durata. Con un inizio così ci si può solo aspettare il meglio.
E le aspettative non vengono deluse. S’inizia mercoledì 10 ottobre con una sezione cinematografica che parte dal tardo pomeriggio: storie, reportage e documentari (come Visualizing ISAM, in cui Velio Virkhaus racconta la storia dall’interno della realizzazione dell’opera di Amon Tobin, incentrato sulla pratica del mapping); e a seguire, i primi accenni di quelli che saranno veri e propri giorni di “fuoco e casse“: per questa prima serata le proposte musicali mantengono un low profile ma non per questo scarseggiano in qualità e originalità. Si tratta delle sperimentazioni “domestiche” dei Wolkwerk Folletto, che sonorizzano dal vivo un classico aspirapolvere, facendolo “cantare” a suon di byte; a cui seguono i sintetizzatori e i campionatori a basso costo di Daniel Lopatin, meglio conosciuto come Oneohtrix Point Never. Si tasta il terreno, si beve un drink sulla terrazza che dà su piazza Nettuno e ci si prepara mentalmente per i giorni seguenti.
Che iniziano anche abbastanza presto, considerando i workshop e gli incontri in programma sin dal primo pomeriggio: dal “Manifesto 2.0 dei network digitali” a cura del collettivo HMCF (giovedì 11) al laboratorio su Ableton tenuto da Giancarlo Lanza (venerdì 12). E poi ci sono le installazioni e i vari progetti presentati nella sezione call4roBOt che girano intorno ai tre concetti principali del festival di quest’anno: la comunicazione, l’interazione e la rete. Ovvero la sacra triade della società contemporanea, qui filtrata attraverso un linguaggio proprio di un mondo accessibile a chiunque, quello del clubbing.
E se Palazzo Re Enzo fa da cornice prestigiosa per tutte le performance musicali più ricercate, le esposizioni e i brain storming sul tema, è di notte, spostandoci nelle altre location, che prende vita l’anima più vera di questo festival.
Giovedì, quindi, ci dirigiamo verso il Tpo con la faccia ancora pittata di giallo, blu e verde a causa del live, in prima serata al Re Enzo, del bolognese Boxeur the Coeur (aka Pabliz Yocka). Un nuovo progetto in solo per il musicista che, rubato alla scena indie italiana, sta “colorando” le piste electro con accattivanti mix di avanguardia, pop e ritmi danzerecci. Il tocco in più? quello di delinearsi il volto con colori fluo da far poi girare tra il pubblico, accendendo così gli istinti più infantili e giocosi, alla luce dei laser.
Al Tpo, invece, sono Nathan Fake e James Holden a far da padroni. Migliaia di persone per un’apoteosi di ritmi che spaziano dalla dance più onirica del primo, all’elettronica più ricercata e al tempo stesso trascinante del dj producer di Exeter. La dancefloor risponde, in visibilio e senza mollare fino all’ultima nota.
In giorni normali si avrebbe bisogno di almeno un paio di pomeriggi di recupero forze per affrontare la successiva nottata, ma le tabelle di marcia dei festival sono rigide e impongono una ferrea disciplina. Quindi il venerdì – poche ore di sonno alle spalle ma carichissimi in vista dei successivi dj set – siamo di nuovo ad aperitivizzare sul terrazzo del Re Enzo, girovagando tra corridoi e saloni, pronti a partire alla volta del Link. Nessuna possibilità di declinare la nottata in pista: il programma prevede l’esibizione, tra gli altri, di un maestro dell’house come Julio Bashmore e, a seguire, la techno dubstep di Scuba. Le gambe vanno da sè ormai, mentre i 4/4 controllano i nostri battiti cardiaci; l’intero edificio del Link, pieno di gente, si muove sulle acrobazie sonore che dalla consolle si estendono per ogni sua arteria. La connessione è fisica e si percepisce vibrante, sotto la pelle. RedBull e vodka, come se non ci fosse un domani che, invece, ci attende, inesorabile, proprio all’uscita, con le prime luci dell’alba.
Testi di Giulia Tonucci. Foto di Mario Covotta.
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