Siamo stati al Palladium per lo spettacolo “The end”
Siamo stati per voi a vedere lo spettacolo “The end” della compagnia Babilonia Teatri presso il teatro Palladium di Roma lo scorso 5 marzo e in queste poche righe che avete davanti gli occhi cercheremo di rendervi partecipi di un evento straordinario, accattivante e rivoluzionario.
Forte dei riconoscimenti ottenuti nelle scorse stagioni, come il premio Premio Speciale Ubu 2009, sul palco del Palladium la Babilonia Teatri ha portato in scena una tematica impegnativa e dalle molteplici sfumature, la morte appunto, proponendo uno spettacolo dai toni aspri e chiaramente ispirato alla vita reale e quotidiana condito con un pizzico di originalità che lo rende irripetibile nel suo genere. La fine, la morte, è un argomento di cui il teatro, così come l’arte in generale, si è servito per soddisfare il bisogno collettivo di raggiungere valori emotivi universali, proponendola in tanti modi possibili, come le caselline colorate di un cubo di Rubik da incastrare.
Eppure la rappresentazione teatrale di cui vi stiamo parlando va ben oltre: “The end” non racconta una storia, non è una commedia sull’ordinarietà della vita, non è una tragedia per spettatori sentimentalisti. “The end” è più di una rappresentazione teatrale, è più di uno spettacolo, è la descrizione dell’esistenza umana costruita su un flusso di parole che scorre ad alta voce, raccogliendo un fiume di immagini criptate, emesse da una donna che sul palco recita vestita d’argento e lo fa servendosi di messaggi e frasi riciclate dalla vita di tutti i giorni, come monologhi interiori che il suono sottrae alla mente, dando loro l’impulso di invadere gli spazi del nostro percepire l’universo. Quella donna d’argento che occupa il palcoscenico ci tiene legati alla realtà, le sue invettive contro la scienza ingannatrice, che tenta di rubare al tempo il suo scorrere veloce per nutrirci di false aspettative a colpi di bisturi e dosi di felicità plastica, risuonano come l’ira funesta di un dio pagano che non sopporta più il teatrino subdolo e finto di attori che non invocano l’ebbrezza: la morte è l’altra metà della vita, parte integrante dell’esistenza del genere umano a cui non ci si può sottrarre, come Apollo non può sussistere senza Dioniso.
Infiniti enunciati altisonanti che occupano la nostra mente e si sovrappongono alle nostre visioni, come slogan ammonitori di un destino comune: “ognuno sta solo sul cuor della terra”, risuona dalla voce di questa attrice che dà forma e colore a questo spettacolo che si avvale di incursioni musicali come “Si fossi foco”, i versi di Cecco Angiolieri cantati da Fabrizio De Andrè; un caleidoscopio morfologico di emozioni che attraversano i diversi ambiti culturali per estasiare il pubblico partecipante. La morte, la vera protagonista della rappresentazione, rende conto della circolarità della vita che il tempo suddivide in tanti segmenti; la morte, la fine della nostra esistenza sulla terra, lascia il suo segno già quando bussa alle nostre spalle e nonostante il nostro tentativo di sfuggire ad essa, il silenzio della nostra paura che incombe ha lo stesso colore del buio: “ed è subito sera”, come ripete l’attrice nel suo lungo monologo che ci tiene incollati alle poltrone arancioni di questo teatro trasportato in un altro mondo.
Ci accorgiamo che lo spettacolo sta volgendo alla fine quando alle spalle dell’attrice, in posizione verticale, al centro del palcoscenico, si eleva la grande croce di legno che sostiene Gesù, che in questa rappresentazione, come ironia della sorte, viene affiancato dalle teste mozzate di un bue ed un asinello, gli stessi che lo hanno visto nascere e che ora lo accompagnano nel suo cammino verso la morte.