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Siamo stati al Secondo Congresso dei Disegnatori

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Mi è capitato un sacco di volte di parlare con gente che fa quelle cose che si dicono ‘arte’, tipo gente che disegna o che fa i quadri o che fa tutte quelle altre cose che ti permettono di vestirti in modo strano e di fumare senza remore. Ora, il fatto è che questo tipo di persone mi ha molto spesso manifestato come il fatto di fare quella che definivano arte non fosse una cosa tra le tante bensì una vera e propria ragione di vita, un qualcosa che li rendeva straordinari nel senso in cui le loro vite erano qualcosa di molto poco ordinario.

E’ successo che quelle stesse persone, però, non mi sembrassero poi così straordinarie, né a prima vista né a ragion veduta della loro produzione e del loro pensiero. Mi sono sembrate persone che decidevano di essere straordinarie, e solo in seguito inseguivano una qualche tipo di attività in grado di confermare tale caratteristica agli occhi della gente che di lì in poi li avrebbe circondati.

Una cosa che ho notato in quel tipo di persone è che spesso è teoricamente molto disponibile al concetto di ‘arte per tutti’, ossia a quell’idea dell’essere artista che appartiene ad ognuno di noi e che deve essere riscoperta. Tuttavia nella pratica, ossia nei discorsi e nei comportamenti e nei giudizi, quelle stesse persone si trovano a vestire altrettanto spesso una grossissima “scucchia”, molto inclini a vedersi seduti sul trono del talento giustificati a sparare frecce di amarezza verso chiunque si pensasse che fare arte sia cosa facile. L’ho sempre trovata una posizione contraddittoria, da rivedere per bene.

Tutto questo per dire che non credo ci sia una posizione definitiva sull’arte o sull’essere artista. Credo che queste parole significhino diverse cose in variegati contesti. Ce ne sono alcuni in cui esse possono essere manovrate solo da professionisti, e pensare che un professionismo in questo campo non esista è essere degli ignoranti o degli psicologi cooperativisti reduci sessantottini o degli opinionisti di attualità impegnati a giustificare il successo dei Talent Shows.

Epperò ci sono pure situazioni in cui essere un artista e non esserlo non significa niente. Ci sono momenti in cui ognuno ha il bisogno di prendere una matita e fare qualcosa, e se non ce l’ha significa che passa troppo tempo a pensare a come comprarsi la parabola, o a finire il campionato di PES. In quei momenti non significa niente neppure essere bravo o no, che la bellezza dell’arte certe volte avviene senza che qualcuno l’abbia cercata veramente. La bellezza dell’arte certe volte viene dalla spontaneità e certe volte dall’unione di tante brutture. Certe altre dal talento.

Tutto questo per dire che un evento basato sul fatto che tutti possano disegnare sui muri di un grosso sotterraneo al centro di Roma, come il Secondo Congresso dei Disegnatori all’Istituto Svizzero di via Veneto, non punta a premiare il talento. Punta a rendere un posto bellissimo di una bellezza che è hegeliana, che è fatta del contributo complessivo, e non della misura singolare.

E chiudere quell’evento con una serata in cui tutti possono disegnare al buio con dei colori fluorescenti significa mettere davanti agli occhi due cose: che per fare un evento interessante, bellissimo, non servono i soldi ma le idee e che certe volte, a certe bellezze, non basta una persona. Non ne bastano due, non basta un collettivo. Serve la disorganizzazione, serve un universo di voglie di divertirsi e di giocare e di essere originali e di dire la cosa più incisiva e di innamorarsi e di cazzeggiare, purché lo si faccia nello stesso posto, tutti insieme, senza regole e con un pennello in mano.

Istituto Svizzero di Roma | sitoFacebook

Stefano Pontecorvi

scritto da

Questo è il suo articolo n°64

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