Siamo stati all’Arte Video Roma Festival
L’articolo che state leggendo è un omaggio a tutti gli appassionati lettori della nostra rubrica Visti e recensiti, uno spazio in cui vi coinvolgiamo con eventi straordinari che ci divertiamo a vedere e recensire. E anche questa volta ci piacerebbe emozionarvi con un evento da veri intenditori a cui abbiamo partecipato la scorsa settimana. È approdata al Nuovo Cinema Aquila l’ultima tappa del Arte Video Roma Festival, una rassegna internazionale di ricerca audiovisiva organizzata da C.A.R.M.A., Centro d’Arti e Ricerche Multimediali Applicate che ha avuto inizio nel mese di giugno dello scorso anno.
Dopo che una giuria composta da critici e artisti competenti ha selezionato 14 opere proposte da Heure Exquise!, ovvero il Centro Internazionale per le arti video che ha sede in Francia, quelle provenienti dal Magmart Festival, giunto ormai alla sua sesta edizione, nonché dal Fish Eye Festival, una rassegna interdisciplinare volta alla sperimentazione dei linguaggi audiovisivi, ecco finalmente per voi un concentrato di creatività che sconvolge piacevolmente i sensi.
Le 5 opere finaliste presentate al Nuovo Cinema Aquila mutano il nostro sguardo in un occhio elettronico che trasfigura ogni spazio in una dose allocromatica di percezioni del mondo di breve ma intensa durata.
“25.765” (2008) è il titolo dell’opera di Riccardo Arena, ispirata dalla visione del fiume cinese Huang Pu, agli elementi umani e naturali che in esso si sovrappongono; sembra di assistere alla visione di un cartone animato dei maestri giapponesi: il rumore delle chiatte che si spostano lentamente lungo il fiume azzurro cresce fino a diventare un suono che si impossessa dello spazio circostante, il quale si trasforma davanti ai nostri occhi con il passare delle stagioni; improvvisamente la morfologia della natura cambia e lo spettatore viene proiettato in un vortice di colori su immagini altalenanti di sensazioni scorrevoli.
L’occhio dello spettatore si prepara a passare dalla natura allo spazio urbano, tra le opere esposte compare “Paris in the 21st Century” (2008) dell’artista statunitense Van Mc Elwee che incornicia immagini di una Parigi immaginata da Jules Verne, nutrita da scene di vita quotidiana nei sottopassaggi della metropolitana: è il non luogo dell’antropologo Marc Augè, dunque movimento, velocità, l’incrocio di visi attoniti e sguardi assenti offuscati dal transito veloce di frammenti di vita scanditi dal tempo futuro.
In “The super Eye-Park” (2010) Gino Strangis si serve della videocamera per realizzare un gioco che stuzzica la vista riproponendo una realtà visiva che si moltiplica e si scompone come immagini osservate attraverso un caleidoscopio: la trasformazione della materia come per magia fa sì che forme e colori siano in grado di apparire sempre diversi, distorti, dilatati e sovrapposti.
Il video dell’artista polacco Tim White Sobieski “Terminal at last” (2003) è un conturbante pullulare di cellule colorate e danzanti in uno spazio indefinito che prende forma man mano che lo sguardo dello spettatore si sposta sulla realtà, soffermandosi sul movimento delle persone che vivono: la città, le sue luci, le sue strade affollate, il buio che sovrasta i palazzi quando cala il crepuscolo e uomini e donne appaiono come tante macchie colorate o come tante ombre in spazi ampi come aeroporti. In questo frangente visivo e sonoro l’arte ricorda i tragici eventi dell’11 settembre 2001.
L’ultima opera presentata é “Fear of me” (2008) di Alessandro Amaducci, anche in questo caso una sorta di film animato, in cui il soggetto rappresentato è un uomo sospeso nello spazio e compie un moto circolare per mostrare tutto il suo apparire fisico. Mentre la telecamera si muove, intorno il rumore assordante che proviene forse da un cantiere stordisce l’udito e una macchia rossa sul pavimento fa presagire la presenza di una vita umana lasciata cadere, tacere improvvisamente. Siamo o non siamo i vostri migliori spacciatori di ecstasy artistica?