Sign O’The Times
I segni del tempo negli spazi del party
Agire nella produzione culturale Romana ha sempre visto il lavoro nutrirsi di istanze sanguinee da una parte e misteriche dall’altra. Se la romanità è figlia di un fratricidio (Romolo contro Remo) e di uno stupro di massa (la tratta delle sabine) dall’altra, i suoi culti di Mitra, le culture catacombali, i movimenti cristiani hanno conferito a Roma un carattere clandestino e processuale che nel sottopelle del tessuto metropolitano, spinge irredento verso il collasso del presente. E se prendiamo un periodo storico specifico, possiamo vedere come tale binomio di corpi e menti, sangue ed occultismo, sudore e frequenze abbia caratterizzato il leit-motiv della agire culturale nel perimetro metropolitano dell’urbe eterna.
Partendo dalla fine degli anni ottanta e da come le controculture hanno risposto al reflusso degli anni settanta, vediamo come il concetto di occupazione si fa “spazio”, trasformando la vecchia idea di squatting a scopo abitativo nella costruzione di un luogo dedicato alla sperimentazione sociale e culturale dal basso, lì dove le luci dell’entertainment non arrivavano così come non arrivavano i servizi sociali. I Centri Sociali Occupati ed Autogestiti diventano una risposta reale alla mancanza totale di servizi in ciò che negli anni ottanta veniva concepito come periferia.
Nel novanta, Il movimento della pantera con l’occupazione delle università, come risposta al disegno di legge dell’allora Ministro Ruberti per la privatizzazione degli atenei, fa esplodere il concetto di occupazione ed autogestione direttamente sul territorio. Il marchio è quello di un animale scuro e aggressivo che si muove lasciando tracce di pericolo senza mai essere preso, rispondente proprio ad avvistamenti di una pantera che si muove nella campagne intorno a Roma ma anche legato all’immaginario delle Black Panthers, il movimento di liberazione ed autodifesa della popolazione afroamericana negli Stati Uniti.
L’esplosione dei luoghi di produzione di cultura indipendente ha una ricaduta territoriale pragmatica che vede aggregare centinaia e poi migliaia di persone nelle interzone di una Roma ancora in shock anafilattico da narkan. Sono i tempi battuti dai suoni dell’Hip Hop, delle posse, della cultura afroamericana, del rap politicizzato di Onda Rossa Posse, delle Dance Hall di One love Hi Power, dei programmi radiofonici di Daje Pure Te. Tutta la scena che in un cento senso rappresenta con un approccio punk, i linguaggi che avevano creato in vitro la scena precedente dei c.s.o.a. Penso ai Bloody Riot, ai Centocelle City Rockers e a tutta la prima ondata punk e skinhead romana. Ogni seme ibrido produce piante del male, come ortiche nate dal cemento in un tessuto sociale disastrato.
Nel periodo discendente di questa esplosione si intravede all’orizzonte una nuova onda anomala. La tecnologia irrompe nell’immaginario attraverso la democratizzazione degli apparati della comunicazione digitale proponendo e ri-attualizzando ciò che dal punk era stato teorizzato e praticato per un decennio come mail art. All’alba della telematica e di Internet, il concetto di rete viene innervato da b.b.s. sovversive che entrano in relazione attraverso con piccoli modem 14.400 che attraversando i muri dei centri sociali e creano un volano di meta comunicazione. Tale processo viene innervato dal cyberpunk, un filone di letteratura e filosofia che affronta il D.I.Y. (Do It Yourself) sul piano della libertà dell’informazione e dei diritti digitali. L’hacking si fa nuova pratica di squatting e l’etica punk del “fattelo da solo” si trasforma in campionatori, batterie elettroniche e sequencer.
Le droghe cambiano e cambia anche la modalità di percepire gli spazi occupati. Non basta più, le occupazioni permanenti diventano dei porti di pirateria per poggiarsi funzionalmente a degli atti di sabotaggio territoriale diretto e penetrante nella metropoli romana. Nascono i raves illegali come risposta ad una serie di processi di decadimento. In primis c’è il bisogno di rispondere alle dinamiche di repressione sociale con delle forme che sperimentassero nuovi linguaggi per rivendicare il diritto ad una festa libera senza nessuna mediazione. A seguire, c’è il desiderio di confrontarsi con nuovi attori sociali che contemporaneamente emergono come djs, hakers, attivisti mediatici, promotori e produttori ma anche sottoproletari, spacciatori, sbandati, folli di tutte le età e tutta quella fascia di diseredati, orfana dei grandi raves commerciali e facile speculazione per i movimenti della destra romana degli anni novanta.
In meno di due anni tutti i rapporti si ribaltano sul territorio romano che viene attaccato ogni sabato sera da stormi di liberazione in un party continuo. Nella seconda metà degli anni novanta il sentire locale entra in contatto con una visione globale e nomade dei raves attraverso un nuovo volano. Arriva la Spiral Tribe a Roma creando non pochi problemi. I nuovi nomadi non si aspettano di trovare una scena così forte ed i linguaggi delle tribes sono troppo diversi da quelli della cultura romana dei raves. Questo produce un conflitto storico che esplode nel rave di capodanno del 1995 all fabbrica di Castel Romano con accoltellamenti e sparatorie.
Comunque, da quel momento in poi si da il via ad una seconda generazione dei raves che assume la definizione di Free Parties dove le azioni locai vengono ibridate da una cultura traveller che sposta il coatto romano direttamente sulla scena internazionale. Cade il vecchio look. Ranger boots, nike air, levis 501 con cinta ascellare, fred perry, alpha bomber, testa rasata non sono piu’ cool perché appartenenti ad un’immaginario passato. L’immagine è un’altra. Adesso il Colore è nero,ed il profilo perfetto si compone di piercings Baggy pants, felpa con cappuccio, cappello con visiera storta alla Okupe (tribe storica di Marsiglia), furgone e pitbull. Cambiano le droghe. Prima la ricerca delle pasticche creava dei contatti impossibili sul territorio romano facendo si che realtà lontane mille anni luce entrassero in relazione tra di loro in goegrafie di muretti che si aprivano sempre piu’ velocemente nelle cosmogonie dei raves.
Nei centri sociali le pasticche erano più o meno viste come la techno, le une lavavano le mani all’ altra ed entrambe reggevano il mercato delle discoteche. Quindi erano il demonio e dovevano essere combattute quasi come e quanto l’eroina. Nei primi raves si trovavano solo acidi e c’era solo un pusher di fiducia che si eleggeva politicamente come dissonanza cognitiva per ingoiare l’ostia del demonio con l’idea che il conferimento faccia sparire il fatto che dietro comunque ci sia narcomafia e locali. Il pusher comunque finisce le cinquanta pasticche prese e che mai avrebbero soddisfatto il fabbisogno di centinaia di persone.
Ma questa visone dura il tempo delle prime pezze. Anche i compagni scoprono il potere dell’mdma e delle sue albe atomiche nelle fabbriche abbandonate, condividendolo con il nuovo proletariato che, all’arrivo delle tribe si fà appunto vecchio. Gli inglesi e i francesi portano lo speed con le sue musiche. E la cosa divertente è che qui, i punk storici che di speed ne avevano assunto a tonnellate in Germania, nei Paesi Baschi ed in Inghilterra, ne fanno un uso più o meno attento o comunque con un know-how – mentre le nuove generazioni pensando che sia cocaina, si fanno esplodere il cuore. Musicalmente il sound cambia. Come cambia la dinamica organizzativa. Le tribes sono completamente indipendenti, motorizzate con sound systems loro – comprati o auto costruiti – con console loro e anche con produzioni loro, quindi dischi e lives.
Le crew romane invece affittano i sounds e suonano i dischi di Remix (unico negozio di dischi che vende la techno a Roma in quel periodo). Un vento di cambiamento musicale arriva quando la scena storica del suono di Roma – Passarani, Benedetti, Lory D, Anibaldi, Rizzo – entra in contatto con il movimento, dando un’accelerazione e uno spessore di sperimentazione elettronica alla musica che, altrimenti, a parte piccole autoproduzioni, si muove dall’acid di “pull-over” alla Mokum e la Rotterdam Records. Le tribes arrivano con suoni ultra hard e completamente autoprodotti, con studi mobili.
Da qui nascono infiniti musicisti e djs come Crystal Distortion, 69 Db, Ixi, ma anche gente della seconda generazione che poi si sposta nel circuito de clubs successivo ai free parties: Gente come Suburbass, Popof etc. In ogni caso cambia la musica, cambiano le droghe. Arriva lo speed e la ketamina. Dall’episodio storico inglese di Castelmorton nasce un’idea di free festival che si chiama Teknival, che aggrega tutti i sound sysitem e si espande in tutto il mondo. La techno ora si scrive Tekno e diventa Free. La rete ormai ha sviluppato a pieno il web con infiniti siti tematici tra cui quello romano Ordanomade che a sua volta lancia un newsgroup il quale esplode dalla fine degli anni novanta per tutta la prima parte del duemila. Lì fiocca la pratica del report e nuove crew si formano.
I raves esplodono ovunque in Italia e iniziano a ripetersi. L’estetica è la stessa la musica è la stessa, i posti iniziano ad essere sempre gli stessi, la molteplicità si sedimenta in identità. Si perde la magia dell’inizio e anche del secondo flusso delle tribe. Entrano le siringhe nei raves. La gente si fa le pere di ketamina, di eroina e di speed. I collassi sono empre più estremi, Si perde la sensibilità antiproibizionista e il senso della ricerca e della psiconautica. I raves diventano sempre più violenti, le droghe spacciate sempre più cattive, la musica sempre più noiosa, le istallazioni insesistenti oltre un paio di strobo. L’esperienza dell’ocupazione, dell’autogestione, della sperimentazione, della clandestinità, della molteplicità, dello spaesamento della differenziazione estrema, della perdita dell’identità si annulla completamente. La gente si stanca e, nell’ombra, si sedimentano dei surrogati dei raves con un altro spirito che occhieggia a quela club culture nord europea e che porta in auge la Drumm ‘n’Bass.
Nascono esperienze come Aghata ed il Brancaleone oppure il Blue Cheese che, a cavallo degli anni novanta diventano una specie di riparo e di punto di transizione finche il primo diventerà un club con tutte i crismi mentre il secondo, dopo una seconda occupazione, sparirà sgomberato dalla polizia. Nel frattempo le nuove sperimentazioni elettroniche cambiano l’anatomia della festa a Roma. I party si restringono diventano intimi, si fanno corpo. Nasce un revival elettro che ritira fuori sonorità wave mescolate con ebm e punk rock che abbraccia tematiche di genere e di oritenamento sessuale in una chiave che, a sua volta sposta la cultura gay e lesbica su delle porspettive queer.
Parte un nuovo riflusso che sposta la gente dai raves, i centro sociali e i clubs verso la ricerca di un in-between, un’interzona basculante che permetta di soddisfare il desiderio di non riconoscersi. Di spogliarsi dalle identità calcificate per liberarsi, una notte e sempre. Di abbracciare nuovi suoni, nuovi balli e nuove droghe. In realtà tutti aspettano le nuove droghe ma, dato che non ce ne sono ed i processi in atto sono continue operazioni di ruminazione culturale e postmodernariato, l’ mdma in polvere entra nei clubs e viene ridenominato “Md”. La ricerca si sposta verso l’archeologia della club culture, quindi locali in disfacimento, vecchie balere, zone morte dell’entertainment o comunque spazi neutri che raccontano di un passato anteriore, dove far confluire la gente stanca di tutte le aggregazioni precedenti in un territorio che viene risignificato di volta in volta.
Nasce Phag Off, progetto di cultura queer che si sintetizza in una forma-festa e che esplora ed abbraccia a sé tutte le nuove tendenze. L’esperienza diventa seminale per una serie infinita di party e progettualità che lo seguono e apre alla possibilità di un intervento, di ridiscussione e di messa in crisi del totem eterocentrico di sesso, genere, e sessualità – questo sia nei centri sociali che nella comunità gay, lesbica e transgender ponendo l’accento su come identità e potere siano l’una lo specchio dell’altro.
Phag Off sceglie la dialogia come pratica discorsiva nella relazione con le realtà che gli sono intorno ma sceglie anche il rifiuto di quegli interlocutori che non entrano in empatia e sviluppano dinamiche di speculazione politico-economica e personalistica. Soprattutto, Phag Off sceglie di boicottare le nuove figure dell’entertainment romano ovvero le grosse agenzie che, storicizzando tutti gli anni novanta, rivendono brandelli di idee alle istituzioni pubbliche e private per produrre grossi eventi facendo il gioco di una sinistra mediocre che non regge il passo delle politiche culturali delle altre nazioni europee. Phag Off fa circuitazione di artisti e teorici che non avrebbero mai avuto spazio a Roma e in Italia creando una rete internazionale tra accademia e rivolta, tutelando le piccole agenzie, e prendendo contatti diretti con gruppi, perfomers e djs. Phag Off favorisce i luoghi autogestiti, basculando e disperdendosi in contesti sempre diversi attraverso un’ottica continuamente nomade in tutto il mondo. Se perdersi è erotico e ritrovarsi è strategico, uccidersi è libertario. Per ciò, ad oggi, la pratica del suicidio rituale chiude il ciclo di questo articolo, perchè è giusto amplificare la crisi inebriandosi della paura che essa produce, attraverso la perdita di qualcosa di amato.
E’ giusto generare collassi, portando a termine un progetto senza lasciarlo a derive commerciali od assimilazioniste, perché rimanga come immagine impressa a fuoco nelle emozioni di chi l’ha costruito, vissuto, partecipato, desiderato, amato momento dopo momento. Ora è tempo per le nuove generazioni di mettersi in gioco ed autoprodurre visioni di libertà. E ci sono esperienze già all’atttivo come Rejected, Spasticalia, Sick Marylin, Atomic, Dispatch, Meat Pie per citarne alcune; nonché progetti editoriali come Epoc e interzone di Roma in movimento come Il Pigneto con bar come Officine ed il Fanfulla e ancora nuove clublands in espansione come Montesacro. Per questo, l’articolo si chiude con l’epitaffio funerario dell’ultimo Phag Off:
“…Benvenuti al funerale del Party che ha iniziato tutto e che tutto porterà con se. nella traiettoria ascendente, tra l’alpha e l’omega di corpi in rivolta, linguaggi a venire, geografie del desiderio, frequenze nascoste, fluidi corporali, parole in libertà, dancefloors infiniti, live impazziti, macchine liquide, flash del futuro, fotografie che raccontano storie di amori impazziti. Questo il percorso emotivo che morirà con Phag Off, nella sua bara di pizzo viola. Sul il suo coperchio la terra è fertile per nuove fioriture del male….”
testo di Francesco WARBEAR Macarone Palmieri
foto di Warbear e archivio Phagoff