Siren Festival 2017, un ottimo week-end nella città con l’articolo
Pensare di poter mancare l’appuntamento anche quest’anno, era un’ipotesi non contemplata: avrebbe scatenato rimorsi irreparabili. E allora sì, ci sono. Finalmente. Lo scenario è “il Vasto”, la città con l’articolo, dove musica, mare e sirene si incontrano felicemente ormai da quattro stagioni. Se non fosse stato così maledettamente difficile divincolarsi dalla ragnatela metropolitana e imboccare l’autostrada dei parchi, il venerdì pomeriggio di una torrida estate, avrei potuto raccontare il Siren Festival 2017 fin dal suo incipit crepuscolare.
Ma così non è. E l’arrivo coincide con le ultime rime di Ghali, in una Piazza del Popolo già sufficientemente gremita da far sentire alle orecchie afro-meneghine del giovane rapper una convinta e sonora acclamazione. Sulla carta il programma è vario, attuale, sintonizzato sulle più recenti tendenze elettro-dance, con una strizzatina d’occhio al nuovo cantautorato retrospettivo di casa nostra. Certo non ripete (perché irripetibili forse) i fasti degli esordi, quando una line-up altisonante e sfrontata determinò un immediato e definitivo richiamo (The National, Mogwai, John Grant, solo per citare qualche nome). Il format è ben congegnato però, conquista sempre maggiori simpatie tra chi, autoctoni inclusi, non aveva ancora piena e definitiva confidenza con le precise ed organizzate cadenze festivaliere.
Nemmeno il tempo di constatare la mappa delle scottature, che la salsedine aiuta a trovare un accordo sul dare precedenza agli aperitivi musicali di Porta San Pietro rispetto a una pur necessaria doccia rinfrescante. Il duo francese Zooey conferma le gradevoli sensazioni avute nelle prime esplorazioni discografiche nel loro territorio; il pop di gusto londinese e lo stile scanzonato giungono leggeri come la brezza che solletica il naso rivolto, di tanto in tanto, alla vista adriatica che si staglia di fronte al marciapiede vestito da palco, e non lascia indifferenti. La prima birra è già scolata quando i Gomma irrompono, più veementemente, in strada, proponendo il loro acerbo ma cristallino talento; un sound già definito e il carisma vocale della frontwoman Ilaria sono già un passo deciso verso la maturità.
Ragù di ventricina e arrosticini servono da distrazione terrena prima di affrontare l’improvviso impeto di urgenza che si percepisce nell’aria. È la volta degli Arab Strap. Negli occhi di quei trenta individui che hanno piantato il muso contro il portone chiuso di Palazzo d’Avalos oltre mezz’ora prima che lo spettacolo avesse inizio, leggevi la lunga astinenza, l’attesa densa di emozione, l’ansia del gran ritorno, l’inesplorata ebbrezza del contatto fisico imminente, negato per tanti anni dall’improvvida e intempestiva separazione.
Alle ventitré in punto, annunciati dalle cornamuse psichedeliche di Loch Leven (Intro), compaiono tra i fumi di scena. Aidan Moffat approccia il palco e la folla del cortile con fare determinato e diretto, quasi serioso. Guarda negli occhi ognuno di noi. Forse consapevole dell’atto di straordinaria responsabilità che sta compiendo, lui e Malcolm, ricucendo “lo Strappo”. Hanno salvato vite musicali, altrimenti smarrite, irrisolte. Questa occasione assomigliava per molti a una resa dei conti. Solo il fottuto caldo vastese, “what a fucking hot”, contro cui Aidan impreca una manciata di volte, distoglie lui, non l’imperturbato Malcolm, dalla fiera concentrazione dell’evento. E gli regala lo spunto per tracannare qualche latta di fermento in più.
Scelgono per l’occasione una scaletta robusta, muscolare e tecnica. Attinente al sapore danzereccio ed elettronico di questa edizione del Siren. Attingono in misura più o meno equa dai più recenti capitoli della loro storia, tralasciando solo i primissimi lavori. Cedono alle atmosfere più intime ed emotive solo in un caso: Who Named The Days. Pezzo storico. Chi sapeva ora gode. Chi non conosceva, ha scoperto, e ora sa.
Toccherà a Trentemøller, mai così armato di corde e distorsori, squarciare la seconda notte di suoni, con lampi e tuoni. Come la notte prima era toccato ad Apparat accomiatare la folla straripante e assetata di Palazzo d’Avalos, con una lunga ed elaborata sessione delle sue, dopo che la composta maniera dei Baustelle (finalmente si è capito che vanno pronunziati fino in fondo, senza azzardate elisioni vocaliche) aveva disegnato arcobaleni melodici sulla piazza adiacente.
Le stelle, anche stavolta, hanno brillato, con buona intensità, sul lungomare del Vasto.
Testi di Lucio Ciccone.
Siren Festival | sito