Small wheel, big wheel | La personale di Agostino Iacurci alla Wuderkammern
Ci sono periodi in cui la vita sembra mettersi lì a scartavetrarti di dosso tutta una serie di cose che pensavi fossero fatte per te, ed invece non lo erano. E la cosa bella è che dopo quel grosso e violento lavoro, di solito, non ci si sente mai qualcosa di diverso. Anzi, sembra di non essere mai arrivati ad una tale onestà e consapevolezza di sé. Un po’ come una di quelle docce dopo una lunga e alienata giornata di merda: si ritorna ad essere una specie di originali sé stessi. Lo so, è un discorso che pare uscito da una mestruazione di Galimberti, ma non posso farci niente: le mestruazioni vengono una volta al mese, e che tu sia la Regina di Danimarca o la fidanzata di Albano Carrisi, beh, comunque è qualcosa che succede a tutte due.
Ad ogni modo quello che volevo dire è che in quel momento ti sembra di aver fatto, e appoggiato, e apprezzato un sacco di cose solo perché ti ci sei in qualche modo trovato e non perché ne avessi davvero voglia. Ti accorgi di aver passato ore a dire un sacco di stronzate. Ti accorgi di avere buttato una montagna di tempo. Non tutto, però, che altrimenti tanto vale iniziare a fare il fantacalcio e a mettersi una camicia col colletto bicolore. Alcune cose le ritrovi alla fine, e t’accorgi che erano un po’ il punto da cui tutto era partito. L’inizio e la fine, le uniche due cose che devono essere vere per forza.
Il preambolo mi serve a parlare della mostra di Agostino Iacurci, che ho intervistato qualche tempo fa e che adesso espone alla Wunderkammern di Roma. È uno bravo, Agostino, uno che fa delle cose belle e mai si dimentica dell’impegno che ha preso verso il suo talento. È uno che s’impegna, che pensa, si evolve. Uno il cui tasso di realizzazione personale, secondo me, non dipende dalla quantità di mail con la firma digitale che riceve.
La mostra è una verifica e una prova di tutto questo. Ha un filo conduttore, che significa un progetto e dunque un qualcosa da dire, e dunque una realizzazione personale e poi, solo poi, manifatturiera. Ecco, la mostra di Agostino è tutta incentrata sul gioco e poco ci vorrebbe a scadere in una fiera delle banalità da best seller psicologico. Agostino lo fa come l’ha sempre fatto: dice cose un sacco semplici in un modo altrettanto semplice, ed in questo modo sembra generare qualcosa di complesso.
Ed io credo che il gioco sia un po’ la stessa cosa, perchè quando uno gioca lo fa per motivi facili e in modo facile, ma in ultima analisi fa una cosa un sacco difficile, piuttosto misteriosa. La mostra di Agostino è arte che parla di giochi e in questo modo gioca con l’arte. Le sue opere giocano – scherzano – con le cose serie della vita. E si fa intravedere, quel gioco con la serietà, come qualcosa di davvero molto serio.
Paraculo.
Sembra facile.
È difficile.
Bravo, Agostino, uno bravo.