Sónar, un festival che guarda al futuro
Il Sónar dà e dà sempre un sacco di cose. Dà e non toglie. Dà e fa bene. Il Sónar rimane lì, ed è quella sicurezza morbida che dà tanto, come la lasagna della domenica. Lo sappiamo già che sarà buonissima, no? Ogni anno il Sónar invade Barcellona, con un mix di culture e colori da respirare, da godere. Arrivare a Barcellona nel week-end del Sonar significa sentirsi sempre e comunque cittadini del mondo, e la sensazione è così sfacciatamente bella, da non poterne fare a meno. Incrociare gli sguardi nei bar dei sopravvissuti alle notti festivaliere, scambiarsi un sorriso, guardarsi i braccialetti al polso, “c’eri anche tu”, non serve nemmeno dirlo, due occhiate bastano per sentirsi amicissimi dello sconosciuto del bar. E sentirsi speciali perché quel che avete vissuto entrambi, in quel preciso momento, potete sentirlo soltanto voi. Il Sónar è troppo speciale per trovare qualche difettuccio, pure quando, evidentemente, c’è, ma non importa.
Questa è stata l’edizione più numerosa di sempre: oltre 125 mila presenze e sold out in città per tutte le strutture alberghiere. Il duro paragone col Primavera Sound che arriva giusto giusto un mese prima e si infila in line-up un sacco di nomi papabili per il Sónar, è il paragone che fanno tutti. Ma vanno ricordate un paio di cosette fondamentali: il Primavera abbraccia un pubblico enormemente più ampio, lo sappiamo bene dove arriva il rock. Buttarci dentro la musica elettronica e le varie sfaccettature è successo così, naturalmente. Ma il Sónar è un’altra cosa. Il Sónar è la scoperta, la ricerca, la curiosità, l’evoluzione della musica elettronica in tutte le sue forme. Gli va riconosciuta la volontà di portare in avanscoperta il pubblico. Anche quello più esperto, anche quello più avvezzo alle stranezze, alle novità, al crossover dei generi.
Il Sónar continua a guardare al futuro, esplorando tutti gli scenari possibili, non negando la realtà: la trap è un dato di fatto oggi, come il grime, come un certo tipo di hip hop. Il Sónar è la terra dove crescono le novità. Perché non ci sono soltanto i grandissimi nomi di techno e house, come molti invidiosi insistono a dire. Qui si parla del festival di musica elettronica più grande del mondo, quello che può permettersi di essere irriverente, di mettere in line-up nomi sconosciuti, di portare delle storie vere sui palchi. Basti pensare a quella pischella di Nadia Rose che ha infuocato il Sonar Village durante il sabato pomeriggio, una mc 24enne British, una che non le manda a dire e che ha un’idea ben chiara su come schierarsi contro l’omofobia e il razzismo e l’ha fatta sentire a migliaia di persone!
Quest’anno il festival non s’è preoccupato nemmeno troppo di stravolgere palinsesti musicali notturni classici: anche quest’anno trap alle 03:00 di notte, un po’ di techno nel pomeriggio e via dicendo. Perché la musica guarda al futuro, e il futuro è dei giovani. Infatti, c’era un duo pazzesco, sempre durante il Sónar by day che aveva come claim The Sound of Tomorrow, erano i californiani Joe Jay e Jarreau Vandal. C’era pure la musica elettronica dal sud del mondo, che qui non manca mai, e vista la situazione dei 35 gradi all’ombra dei tendoni dell’Estrella, andava più che bene, si parla di Zutzut & Imaabs.
Contemporanei e originali. Anche loro con gli occhi sul futuro. Non facciamone un dramma: la trap è la musica dei giovani in questo momento. Poi ce n’è diversa, fatta bene, fatta male, fatta per il momento. Al Sónar era soltanto di grande qualità. Anche nell’esplorazione di set di artisti da nomi impronunciabili, come questi appena citati, c’era da scoprire e godere. Beneficiare del nuovo, capirlo ma non troppo, divertirsi sempre di più. Questo festival è incredibile, magari ci son cose che si faticano a comprendere: che bisogno c’era di mettere Nina Kraviz nel venerdì notte, una che suona continuamente a Barcellona e che non ha fatto per niente un bel set, cercando di scorgere la tecno sperimentale, trovando soltanto una quasi hardcore senza anima, e di gusto veramente retro? Ci sarebbe stata meglio una vera signora della tecno, per esempio, un’ottima Ellen Allien?
Stesso discorso vale per Marco Carola. Ma è tutto perdonabile. Certo, ci sarebbe stato proprio bene un bel “livone” dei Cassius per esempio, quando ogni tanto veniva in mente: manca un po’ di festa però qui, eh? Ma la festa c’era magari in uno altro stage, nello stesso medesimo momento. Eh già, perché il Sónar dà così tanto che non si riesce a raccoglierlo tutto. C’è tanta di quella roba da sentire che ci si sente a Disneayland a 8 anni. Dunque, tutto perdonato, pure i piccoli problemi tecnici sul palco dei Moderat che hanno dovuto interrompere lo show per qualche minuto. Mentre tutti restavano nella loro Disneyland a occhi spalancati. E allora, diciamolo che i Moderat, nonostante quella pausetta, hanno fatto uno dei live della loro vita artistica. Il Sónar Club era pieno, gremito come lo si è visto solo per i Chemical Brothers che, insomma sono sufficientemente più POP per riempire una sala di quella portata. Schermi ovunque, suono della madonna. L’unione con Pfandrei video artist illuminato e contemporaneo ha dato dei frutti incredibili: il live era un connubio perfetto in sync di immagini e video. E poi finalmente, i Moderat sono diventati una band vera e propria: Apparat canta parecchio e piace. Parecchi applausi meritatissimi.
Quante cose sono passate in quei giorni di pure amore, partendo da Bjork che ha inaugurato il festival facendo un dj set di 4 ore dove ha portato l’Africa nelle casse, le voci i ritmi le tribù e pure un bootleg stupendo di Witney Houston. Il folletto islandese ha deliziato tutti coi suoni del mondo. Ed è stato magico. Troppo lunga la line-up per poterla raccontare qui, tant’è che Culturebox ha rimesso on-line parecchie delle esibizioni di quei giorni: deliziatevi a scoprire qualcosa che avete perso. Sì, perché se non siete stati a questo festival, almeno una volta nella vita, qualcosa lo avete perso certamente. E se siete degli amanti di questo mondo, degli addetti ai lavori, dei musicisti e dei dj, e non siete ancora andati al Sónar, beh, dovete rimediare presto.
Tantissimi show meravigliosi anche quest’anno, alcuni, superlativi, come quello di Nosaj Thing e Daito Manabe. La California e il Giappone. La loro è stata una performance incredibile, lasciata al Sónar by Day, non a caso, appunto, nel momento più consono per la scoperta/ricerca festivaliera di cui si parlava poco più su. I visual in HD hanno portato lo spettatore dentro un universo lontano lontano. Luci, immagini e suono in una perfetta armonia simmetrica, si lanciavano come un render sulle teste dei performer. Un lavoro complesso, visual a 360° intrecciavano immagini in tempo reale, dal vivo, e immagini lavorate e preparate precedentemente. Le melodie dei due si attaccavano su un beat leggero, sfiorando l’hip hop/dub e pure la deep. Daito Manabe poi ha installato anche “Photosphere” al Sonar Planta, per tutta la durata del Festival. Eh già, non dimentichiamoci che in parallelo al festival musicale, scorre Sónar+D, il festival delle luci e dei suoni, delle creazioni tecnologiche, della scienza che sposa la creatività.
Un mondo fatto di incontri, conferenze, workshop, marketLab, esposizioni e test. Il futuro, appunto, quello a cui tutto il Sónar non ha mai smesso di guardare. Ed è per questo che le esibizioni che hanno davvero lasciato un segno sono quelle costruite con l’incontro di linguaggi diversi: il suono, il video e il design hanno incorniciato diverse performance: Nonotak con Shiro, quel folle di Arca con Jesse Kanda e la dolcezza melodica di Nicolas Jaar. La corona del re del live, quest’anno però spetta all’americano Anderson Paak che si è esibito con i Free Nationals: è lui il nuovo soul, il nuovo hip hop. Suona la batteria, canta, balla, rappa, sorride, sculetta, salta, infuoca il pubblico, lo trascina in un vortice di felicità, e un’ora con lui vola. L’animale da palcoscenico è stato lui. La conferma, invece, dal vivo, sono stati i De La Soul. Non servono parole, salvo queste: sono stati davvero utili al Sónar, un movimento così vivo e così netto dal passato al presente al futuro, quasi un passaggio di consegne. I De La hanno spaccato davvero. Poi c’è stata l’infinita bravura di Thundercat, che rimarrà negli annali: maestria e melodia, attitudine elevatissima, definirlo un musicista soul funk è davvero riduttivo.
Il Live dei Soulwax è un altro di quelli che resterà nei ricordi di questa edizione, un momento di puro delirio e casino, decisamente migliore del live dei Justice. Il premio del back to back ai piatti, però, se lo beccano i due dj Tiga e Seth Troxler che hanno cappottato il SónarCar: una session di sei ore no stop, dove i due si sono divertiti parecchio! I veterani non solo se la cavano sempre, ma quelli più bravi sanno guardare al futuro, come ha fatto Derrick Carter facendo uno dei suoi migliori set durante il venerdì noche: non si poteva non ballare! Incalzante anche il dj set di Jacques Greene: che suono bomba! E la chiusura del Venerdì al Dia, consegnata a Damien Lazarus è stata un tocco di classe, lentone, morbido, deep, giusto! Il Live di Sohn: impeccabile e coinvolgente, rimediate subito se non lo conoscete: pop electro con una voce soul, un mèlange adorabile.
In ultimo, uno dei live più irriverenti e divertenti e dissacranti di tutto il festival, ovvero il live dei Fat Freddy’s Drop, che di sabato pomeriggio hanno fatto ballare centinaia di persone accaldatissime, suonando qualsiasi strumento a fiato, buttando casse e beat da tutte le parti, portando il pubblico a un livello di estasi raro ed eccezionale. Lo stato della felicità, quello del concerto della vita, quello che la vita la fa amare di più, quello che sa trascinare chiunque in una spirale immensa e improvvisa di contentezza, fatta di puro e appagante piacere. Una sensazione che si espande nel corpo, in piccole cellule, che si materializzano con delle voci nella testa che fanno più o meno così: “che arrivi presto, prestissimo, un altro grande, mitico, magico Sónar!”.