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Sónar, un rito di purificazione sciamanico

Finisco di lavorare (uno dei tanti lavori di merda che annichiliscono l’essere umano). Torno a casa (uno dei tanti buchi da 30 metri quadrati con vista sul balcone del dirimpettaio, di quelli che concedono a noi poveri animali metropolitani). Doccia velocissima. Preparo l’occorrente. Appoggio delicatamente l’encefalo sul poggiaencefali comprato all’Ikea durante i saldi dell’anno scorso (per tre giorni di fila il cervello non mi servirà a molto).

Sì, perché se prendiamo la definizione che dà Zio 3ccani di questa meravigliosa parte del nostro corpo, ci si rende immediatamente conto che alcune delle mie peggiori facoltà intellettive posso anche metterle in ibernazione nei giorni che verranno. “Avvedutezza, buon senso, coscienza, discernimento, intendimento e senno” al Sónar non mi servono. E nello zaino non posso mettere proprio tutto. Prendo la metro e mi dirigo a Plaça d’Espanya. Ci si rivede domenica (forse) per una lunga dormita pre-lunedì-si-ricomincia-con-l’autoservilismo.

In sostanza, queste parole rappresentano una sottospecie di monologo interiore di quasi tutti quelli che stanno per entrare nell’inferno del Sónar. Un festival a dir poco allucinante. La Disneyland dei grandi. Un rito di purificazione sciamanico. Insensato. Espiatorio. Un luogo eterotopico in cui tutti (donne, uomini, bambini e meno bambini) contribuiscono alla realizzazione di un’esperienza dissennata, al di fuori di ogni logica disciplinante, in grado di allontanarti per qualche ora o giorno dalla monotona e alienante “vita-di-fronte-allo-schermo”.

Henri Michaux direbbe: “Il loro graffio leggero collabora (nel modo in cui un milionesimo di millimetro contribuisce nel fare un metro) a queste onde da ogni dove che si generano, che si aiutano, che fanno il contrafforte e l’anima di tutto”.

Insomma, di feste, festini e festival ce ne sono a bizzeffe nel mondo, ma quello di Barcellona resta sicuramente un appuntamento da non perdere. Anche per chi come me non ama fino in fondo la musica elettronica. E per di più il Sónar non è solo musica. Basti pensare all’imponente installazione realizzata dallo studio berlinese ART+COM in uno degli spazi della Fira de Montjuic dedicati all’arte.

Si tratta di una fusione tra arte e tecnologia in grado di generare un’esperienza sensoriale unica. Una coreografia con cinque dischi riflettenti sospesi in aria, attivati da attrezzature industriali di alta precisione, accompagnati da una colonna sonora di Olafur Arnalds (visibile nell’intro del video che segue).

Per non parlare di Spectral Diffractions di Edwin van der Heide, un’istallazione sonora realizzata in uno dei luoghi più incantevoli di Barcellona: il Padiglione di Mies van der Rohe. L’opera consta di 40 altoparlanti posizionati sulla copertura del padiglione che emettono in maniera indipendente frequenze parziali del suono di una voce umana, con una fitta trama di luci e proiezioni. Si tratta di un’esperienza intensa in cui man mano che ci si sposta nella struttura si riesce a ricomporre questa voce a partire dalle sue componenti semplici fondamentali.

Per concludere, alla stampa il festival riserva un’accoglienza unica, offrendo praticamente di tutto: 1 borsa a spalla dell’Adidas, qualche birra, 1 CD musicale con alcuni dei dj partecipanti al festival, qualche rivista, sconti sugli acquisti dei prodotti degli sponsor, 1 agendina stile Moleskine di Absolut e, udite udite, 2 preservativi Control di ultima generazione con un esclusivo e più facile sistema di inserimento (premiati migliori dell’anno).

 

 

Non c’è nient’altro da dire. Solo usare un po’ di cervello e iniziare a mettere da parte i soldi per i biglietti dell’anno prossimo.

 

Tutte le fotografie sono a cura di Gemma Capezzone.

 

Sónar | sito

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Questo è il suo articolo n°144

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