Sono andato solo soletto al Songkran Electronic Dance Festival di Bangkok
Prologo
Vago per il Chatuchak Market, il più grande del sud est asiatico. Calca. Qualsiasi cosa ti venga in mente in questo momento stai pur sicuro che qui la vendono. Ragazzi thailandesi che indossano una consueta maschera di timore e spensieratezza, bambini dalle bionde chiome vagano sorridenti con genitori hippie, turisti in tatuaggi e macchina fotografica al collo.
Matthew, fratello della mia ragazza, ha davvero bisogno di una birra e così io. Scorgiamo un posto in cui un cartello messo su alla buona indica “Beer 35 Baht”. “Birra 35 baht, cazzo, gran bella offerta!”. Soey ci accoglie con un sorriso che sembra non finire mai, gentilissima. È la padrona del posto, ha 40 anni mentre noi gliene avevamo dati 28. “Cosa fate stasera ragazzi?” “Si va all’S20, il festival del Songkran, suona Deadmau5!”. I truccatissimi occhi di Soey si illuminano, gli occhi si dilatano: “Ci vado anche io lunedì, andiamo insieme!!!”. Calvin Harris è il modo giusto per suggellare l’empatia.
Soey è la prima thailandese incontrata che conosce il festival: una quattro giorni di musica dance in concomitanza con il capodanno Thailandese. Il nostro piccolo tavolo ora è pieno di amici che ci offrono della birra e del cibo. È davvero dura lasciare tutto questo ma il festival ci chiama e noi siamo già alticci abbastanza per menare le danze.
La prima
Un fiasco di Whisky thailandese non attenua l’inferno che ci troviamo di fronte: una cacofonia inarrestabile di migliaia di scooter impazziti guidati da omini in fratini arancioni intenti a divincolarsi come stuntman tra il grigio traffico. Il festival si trova proprio accanto ad uno dei numerosi cavalcavia che intelaiano la città di Bangkok come fili di seta: sotto i piloni sembra succedere di tutto. Un inferno in salsa asiatica, fatto di luci, odori, musica sparata a milioni di watt, taxi, ambulanze risucchiate nel traffico, caos.
La disposizione del festival è strana, posta tra locali che sembrano festival anch’essi. Ci vogliono 10 minuti di ricerca per trovare la biglietteria. Tutto va liscio. “Stampa, grazie, fanculo voialtri, passo io”. Non c’è Deadmau5 a suonare ma un altro dj che non ho mai sentito nominare. L’atmosfera in verità non è avvolgente, poca gente, tanti selfie.
Avanzando nella folla, superata la pozzanghera marrone che stronza si allunga a dividere gli apostoli del selfie dagli asceti della musica dance, zuppi, ormai sordi e coi crampi alle gambe, subentra un altro calore. Deadmau5 è finalmente giunto a salvarci, folle, con quella maschera da topolone che dopo un po’ si toglie, forse sconfitto anch’egli dalla calura di Bangkok.
Il dj set fila via potente. Noi ci caliamo con anima e corpo nel beat, familiarizziamo con un gruppo di occidentali che come noi, ci stanno davvero dando dentro. Abbracci spontanei, mani al cielo, bocca sul cocktail. I giochi d’acqua sono una promessa non mantenuta: l’unico liquido sulla maglietta è la vodka mischiata all’acqua tonica. Tutto diventa nebbia, il dj-topo abbandona il palco, c’è l’after party e noi abbiamo tutta l’intenzione di non perderlo. Tanto, per noi, sta musica suona tutta uguale.
La seconda
Le tapparelle dell’albergo vanno su: la bocca macchiata di whisky e Burger King, in testa numerose immagini di foto e abbracci con thailandesi galvanizzati. Ho di nuovo fatto il numero del “ragazzo più amichevole del mondo”. È un mio cavallo di battaglia quando sono ubriaco. Stasera c’è Krewella, duo di gnocche di Chicago. “Fuck it!”. Mamma e fratello di Kirsten partono, meglio una serata in albergo sommersi da sushi.
3/4
Giù nella hall c’è un piccolo Buddha che campeggia sornione e dorato. Le hostess invitano a versare dolcemente dell’acqua sulla testa dell’Illuminato: simboleggia la purificazione per il nuovo anno thailandese. Il Songkran è ufficialmente iniziato.
Giunge la sera
Ho libertà di movimento in zona vip così ne approfitto per fare delle sortite e scattare qualche foto da posizione privilegiata. La serata è carica, il festival finalmente pieno di gente. Venditori ambulanti di mascherine per l’acqua, pistole ad acqua che variano da quelle semplici per una comparsata da “io c’ero” a ordigni di distruzione di massa. Le ragazze sembrano prediligere delle pistole collegate ad una sorta di zainetto marchiato Hello Kitty o Doraemon. Le vie della purificazione sono infinite.
Stantuffano i geyser artificiali nel mezzo del parterre. Altri gettiti potenti provengono lateralmente dalla zona vip. Mischiandomi nella folla dei comuni mortali la sensazione è che i vip mi stiano pisciando in testa. I dj sono forsennati, dal palco si alzano fiammate alte, ai lati bombe d’acqua. Questa sera non è tempo di mostri, questa sera è libertà.
La folla è in delirio. In molti bevono il bucket da 15 euro della Smirnoff. Passo come una furia accanto ad ogni gruppo, mi fermo, comincio a danzare incitandoli a dare di più. Si rianimano, danzano con me, dopo di ché mi chiedono un selfie. C’è il gruppo di Singapore, simpaticissimi. Fin quando lei si rende conto di aver perso il telefono scoppiando in un pianto amarissimo.
C’è un irlandese indemoniato alle prese con diverse ragazze thailandesi. Preso dall’empatia e dai fumi alcolici, mi confessa il suo grande amore per gli italiani prima e poi, vedendo in me un affidabile compagno di avventura, il suo piano per la serata di mettere in pratica un ménage à trois. Mi dice che abita proprio nei dintorni e mi invita ad andare da lui la sera successiva.
Chiedo ad una assistente di farmi visitare le villette private facenti parte dell’area VVIP. Sono otto villette a schiera, sistemate al lato del festival, dove qualcuno che ha pagato tanti soldi ha a disposizione alcool a volontà e del personale, osservando il festival dall’alto di una stupida, insensata bolla.
L’assistente si chiama Beer. È gentilissima ma mi vieta l’accesso, seguendo il rigore asiatico. “Dammi l’indirizzo email, poi ti mando del materiale”. Ovviamente non mi ha mai scritto.
L’ultima notte
Una ragazza mi si avvicina e attacca bottone. Si sta divertendo un mondo. Esige un selfie. Lo pubblica su Instagram, mi ci tagga, scopro che è la Playmate of the Year per Playboy Thailandia. La nostra foto otterrà 300 e passa mi piace con cuori. Quando vedo il suo profilo trasalisco: su Instagram è una diva, all’S2O sembra una sorta di Arale di 28 anni che corre in giro urlando “ciriciao genteee!”.
La musica si ripete incessante con pause ed esplosioni a cui coincidono le bombe d’acqua. Il popolo danza e si bagna. La mia pistola ad acqua si è rotta e non riesco nemmeno più a lanciarmi in epiche e divertenti battaglie. Un farang sulla 50ina balla proprio sotto il palco circondato da 5 giovani ragazze thailandesi che si cimentano in danze sensuali provocandogli un enorme piacere.
Il festival scivola così: scene di vita tristemente quotidiane e le facce sorridenti e felici dei thailandesi. Musica mediocre e sempre uguale. L’acqua fino nelle mutande, i piedi che si inzuppano e mescolano con l’acqua sporca e fangosa che si accumula in gigantesche pozzanghere. È una sensazione di visto e rivisto.
Kenneth G sul palco allarga le braccia e volge lo sguardo al cielo: sembra che stia richiamando a sé l’energia positiva dell’universo. Lasciata la sua postazione, saltato in un sol balzo di fronte alla pletora fradicia e elettrizzata, incita, salta, sorride: sembra davvero che non scambierebbe questo momento, il SUO momento, per niente al mondo. Un’istantanea che mi cattura, tiene incollato con gli occhi al palco. Credo che poi questo sia il segreto. In fin dei conti, la cosa più bella, è pur sempre volgere i pugni al cielo, chiudere gli occhi e richiamare a sé tutta l’energia del mondo. C’è la musica e il nulla assoluto e tu ti senti vivo, nella tua casa.
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