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Sonorità roBOt-iche

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Sono passati un po’ di giorni dal Robot06, giorni provvidenziali per far asciugare i felponi dalla pioggia bolognese e necessari a far smaltire i Negroni che hanno lasciato dietro di loro una scia di tanti ricordi, tanti abbracci e un portafogli un po’ più leggero. So cosa pensate, ma vi assicuro che conveniva il Negroni invece che una bottiglietta d’acqua da 2 euri! E poi io non me la sentivo di contribuire all’ inquinamento con inutile plastica, voi cosa avreste fatto al posto mio? Ora, ciancio alle bande, già di BANDe ce ne sono state davvero molte in questa edizione del robot, una rassegna che ormai si è confermata densa di fascino e con una proposta musicale interessante in ogni sua forma e sonorità. Ogni gusto è stato soddisfatto in una line-up che proponeva dj e producer per sognatori elettronici e animi dark, per “acchiappioni” e danzatori instancabili dai menischi sani e anche qualcuno per fighetti dalle ciglia aerodinamiche. Insomma, una line-up più che mai eterogenea collocata in location davvero perfette (vedi Palazzo Re Enzo) in cui era davvero complicato farsi spazio senza rischiare di far cadere qualche centesimo di Negroni dal non troppo generoso bicchiere, ve lo assicuro.

 Palazzo Re Enzo - courtesy Robot

Unico comune denominatore dei tanti artisti presenti era la loro necessità di avere un arsenale di casse da cui sparare proiettili sonori e rendere memorabile il martirio musicale dei tanti accorsi a questa edizione e poco importa se, a pochi giorni dall’inizio della rassegna, è arrivato il forfait del guru dell’elettronica Apparat che ha saltato questo appuntamento per un incidente in moto, chi lo ha sostituito (Dj Koze) ha saputo non far rimpiangere l’assenza di Sasha.

 Palazzo Re Enzo - courtesy Robot

Arrivo a Bologna il venerdì e dopo aver ritirato il pass e dato una un’occhiata al denso programma, mi fiondo in piazza Maggiore. La mia prima serata comincia a Palazzo Re Enzo, una location eccezionale dove è impossibile non rimanere estasiati dalle sale dello stabile. Si comincia con DVA Damas e i loro synth , le apparizioni della chitarra sono ridotte all’osso in un live dall’impatto scenico essenziale evidenziato da vibrazioni new wave con striature di industrial che vanno avanti per circa mezz’ora (piuttosto breve). Incantevole, invece, l’esibizione di Tropic of Cancer in quella sala del Podestà che sembra essere stata pensata nel 1245 proprio per la performance futura di questo duo femminile americano che, per circa un ora, con i synth e una chitarra ha saputo creare un’atmosfera densa, delirante, a tratti borderline, in cui la mente di ogni presente ha scrutato dolcemente i propri meandri più oscuri guidata dal dark wave anni ‘80 come in un film di Lynch.

 

È toccato poi a Holy Other che ha offerto un mix di suoni cupi e brani timidamente ballabili. Ha diretto il live con la sua solita inquietudine esistenziale e sonora accentuata dalla sua presenza scenica con l’ormai peculiare cappuccio che lo rende un personaggio estremamente affascinante. La serata a palazzo Re Enzo si chiude con John Roberts che prepara i robotiani a suon di house a quello che sarà il prosieguo della lunga notte al Link dove i set di Troxler e Ben Klock (tra gli altri) schiaffeggiano a suon di techno gli accorsi fino all’ alba di un sabato che si annuncia piovoso.

 

Il clou si raggiunge poi nella notte di sabato al Link intorno alle 2:00, quando alle macchine si susseguono un trio di fuoco composto da Pantha du Prince, John Hopkins e Dj Koze. Nottata interessantissima che vede un’immensa sala pervasa da suoni sperimentali dapprima creati da Pantha du Prince che si presenta sul palco con il ciuffo più corto del solito e poi dal sublime John Hopkins (che a mio avviso ha rappresentato il punto più alto di questo Robot06). Hopkins travolge il pubblico per un ora con sonorità ambient che sembrano far fluttuare il Link nell’iperspazio come un immensa nave con un equipaggio di circa 3mila persone rapite dal capolavoro Immunity.

 courtesy Robot

Infine, tocca a Dj Koze che dimostra di essere un degno sostituto di Apparat offrendo un’esplosione di house d’autore che mette a dura prova la resistenza di tutti in un live lungo, che parte ammaliante e culmina in una violenza dance a cui è difficile rimanere indifferenti.  Termina così questa edizione del Robot, un edizione sorprendente anche più delle aspettative che a me lascia un triste dilemma: come tornare a casa? Piove e fa freddo ma la cronaca del mio ritorno a casa non credo sia degna di nota… Al mio risveglio, a Bologna piove ancora, accendo una sigaretta e metto su un po’ di musica…

Testi e foto di Antonio Cammisa.

Robot 06 | sito facebook

Antonio Cammisa

scritto da

Questo è il suo articolo n°11

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