Sposerò Gipi
Dite la verità, ve lo aspettavate? Non potevamo non infastidire uno dei più importanti esponenti del fumetto italiano e dunque, eccoci qua. A quanto pare è inutile cominciare una tediosa dissertazione su “fumetto o graphic novel?” perché se non gliene frega niente a Gipi, figurati a noi. Quindi vi introduco uno dei miei miti personali nonché uno degli artisti più apprezzati nel panorama fumettistico italiano. Gianni Pacinotti, in arte Gipi, è di origine pisane e sul suo seguitissimo blog si definisce un “Realizzatore di storie a fumetti e cortometraggi imbecilli. Illustratore per La Repubblica, autore di strisce dubitative per Internazionale”, ed in fondo io chi sono per descriverlo diversamente?
Sciocchezze a parte, quest’uomo ha pubblicato diversi racconti a fumetti, tra cui Questa è la stanza, S. e la sua vita disegnata male LMVDM che hanno avuto molta risonanza sia in Italia sia fuori dai confini nazionali, probabilmente grazie alla sua pregevole capacità di raccontare. Nelle sue tavole, che alternano disegno sbilenco a bellissimi acquerelli, racconta storie nelle quali non è troppo difficile immedesimarsi e, come dice lui, probabilmente la sua passione per la narrazione lo ha reso molto “compreso” dal pubblico.
Gipi si diletta con video satirici sulla società e altre attività, come per esempio la sceneggiatura di un film e uno spettacolo teatrale, oltre alle già famosissime strisce su Internazionale e La Repubblica. In pratica, è un uomo dalle mille risorse che però, purtroppo, non ha accettato di sposarmi e mi ha pure un po’ bacchettato. Consiglio a tutti i disegnatori, ma non solo, di leggere queste parole dalle quali traspare una personalità molto profonda e nelle quali è possibile individuare la purezza del vero artista, indifferente alle dinamiche del “mercato” e alle polemiche inutili.
La prima domanda che voglio farti è dettata da una mia profonda preoccupazione: come sta l’uomo che non sapeva cagare?
Immagino che quest’ombra resterà su di me fino alla fine dei miei giorni. “L’uomo che non sapeva cagare“, personaggio di fantasia con il quale non ho mai condiviso NULLA, è morto.
Ti sembrerà piuttosto stupido, ma mi sono sempre chiesta cosa si provi a liberare la propria mente sulla carta attraverso una delle più affascinanti forme d’arte, il disegno.
Me lo sono sempre chiesto anch’io, perché se c’è una condizione alla quale il mio stare al tavolo da disegno non somiglia, è proprio quella, l’avere la mente libera. Per quanto mi riguarda, se si escludono momenti santi e rarissimi, dei quali si può tenere contabilità sulle dita di una mano, il lavoro è sempre qualcosa di faticoso. Strada di dubbi. Incertezze. Poi, sì, ci sono i momenti santi nei quali mi dimentico di me. Sparisco dal tavolo e le cose “accadono”. Quello è un bel momento, immagino, ma io non me lo godo, neppure quello, perché quando si verifica, semplicemente non ci sono. Ultimamente mi succede solo con la scrittura e, a volte, con il disegno accurato.
Com’è cominciato tutto?
La voglia di disegnare è cominciata con l’essere bambino. I bambini ce l’hanno, di default. La voglia di raccontare non lo so. Molto presto anche quella, ma non saprei dire quando si è trasformata in ossessioncina.
Sfrutti la carriera artistica per esprimere la tua opinione o sfrutti il tuo ruolo di opinionista per essere libero nel tuo ruolo d’artista? Oppure ti senti libero e basta?
La (come la chiami tu) carriera artistica mi ha dato visibilità. Ma io facevo i miei cortometraggi scemi, dove, a modo mio esprimevo una visione del mondo, anche quando non se li vedeva nessuno. Non è neppure, questa cosa dell’esprimere una visione, uno sfogo. E’ puro divertimento per me. Ogni volta che scrivo una pagina di racconto che può essere inteso come satirico, o giro un video su un evento sociale o politico, lo faccio solo perché mi diverte. E’ indubbio però che a me diverta interpretare la realtà. Cercare di capirla per vie traverse. Mi piace proprio.
Che cosa pensi dell’innovazione applicata al fumetto? Per esempio l’uso di programmi al computer per disegnare, i vari mix fotografia/fumetto, l’uso del 3D?
Non penso niente. Non giudico un’attività. Posso giudicare secondo il mio gusto, le cose singole che vengono fatte. Non sono prevenuto (né il suo contrario) verso nessuna forma espressiva. Mi interesso solo al risultato.
Qual è l’attuale situazione dei giovani artisti in Italia? Ci sono moltissimi disegnatori che fanno fatica a emergere, cosa ne pensi? E soprattutto facci dei nomi, così a farli emergere ci proviamo noi.
Non saprei. Anni fa insegnavo in una scuola, i miei contatti con i giovani aspiranti disegnatori erano più frequenti. Adesso vivo in modo abbastanza isolato e non seguo molto quello che accade tra i giovani artisti. Avresti dovuto fare tu una lista, visto che parli di “moltissimi disegnatori che fanno fatica a emergere”, me li sarei guardati e ti avrei potuto dire di più.
E comunque, anche lì, cosa intendiamo per emergere? Per me l’espressione artistica è solo un percorso spirituale. Quello che accade a margine è determinante per la qualità della vita dell’artista, ma non può essere messo al primo posto. Quindi non mi preoccuperei tanto di emergere, quanto di crescere, di sviluppare una visione autonoma, di mettere in dubbio ogni singolo mattoncino della nostra personalità, ogni intuizione, ogni pensiero.
Nelle tue storie riesci ad affrontare con una certa innocenza anche argomenti piuttosto scomodi come le droghe, la malattia e il disagio sociale. Fai una particolare scelta stilistica o ti lasci semplicemente andare?
Molte delle mie storie sono nate dai ricordi della mia adolescenza/giovinezza. Non ho mai fatto una scelta di tipo etico o sociale nel decidere di raccontare una condizione o l’altra. Il fatto che nelle mie storie ci fossero condizioni di disagio, droghe e via dicendo è esclusivamente legato alla mia necessità di riflettere su alcuni periodi della mia vita che di queste componenti erano ben infarcite.
Ma non ho mai pensato di voler parlare della droga o roba del genere. Volevo, ho sempre e solo voluto parlare della vita, o meglio, cercare di riportarla, come ritmo e respiro, sulla carta. E l’ho fatto mosso dalla mia seconda ossessione che è quella per gli anni della mia gioventù scapestrata.
Cosa credi ti abbia distinto nel mare dei disegnatori italiani e ti abbia portato dove sei?
Non ne ho la più pallida idea. Sono molto contento di come sono andate le cose, ma non mi sarei mai aspettato di essere tanto “compreso”. Non credo di aver fatto niente di speciale. Forse, l’unico scarto minimamente importante è l’aver messo la compassione davanti al cinismo, mossa che poteva apparire poco moderna ma che ha risvegliato un certo affetto nei confronti delle mie storie.
Perché credi che gli italiani facciano ancora tanta fatica a distinguere tra merda e cioccolato?
Non conosco tutti gli italiani. Non posso rispondere per tutti e non mi piacciono le categorie (non mi piacciono neppure le regioni, le nazioni, i continenti).
Com’è collaborare con Internazionale e La Repubblica? Com’è scrivere strisce?
Sono entrambe, Repubblica e Internazionale, delle buone condizioni. Con Internazionale e il suo direttore e alcuni redattori ho un vero rapporto d’amicizia. Li stimo molto e ci tengo molto alla loro opinione sul mio lavoro. Quello è un buon motore per me. Quando, di recente, il direttore ha scelto di pubblicare un mio articolo (bada bene, senza disegni dentro!) mi sono sentito fieramente lusingato.
Repubblica mi permette di essere sempre allenato, mi costringe con il sottomettermi temi svariati e distanti anche dai miei gusti automatici, a disegnare cose diverse, a conoscere e riflettere su argomenti che non avrei mai affrontato se fossi stato abbandonato alla mia pigrizia da Xbox.
Anche con loro lavoro bene, perché lavoro in libertà assoluta. E avere libertà per me significa avere rispetto. Quindi va molto bene.
Le strisce invece sono questione del passato. C’è stato un periodo nel quale mi veniva naturale mettere in forma di striscia satirica le cose che mi giravano nella testa. Ora non è più così e quando mi sono accorto che cominciavo a lavorare in automatico, senza una sincera partecipazione, ho preferito smettere.
Racconti a fumetti, strisce sulle riviste, uno spettacolo teatrale e un film in lavorazione. Non credi di togliere qualche posto di lavoro? Scherzi a parte, cosa accomuna tutte queste attività a parte l’amore per il disegno?
Un mio amico pittore quasi novantenne, un inglese di nome David Tindle, tanti anni fa mi disse “tutto quello che ho imparato, lo devo alla pittura”. Ora, dopo circa dieci anni credo di poter affermare la stessa cosa. Ogni passo fatto, ogni nuova forma espressiva alla quale mi sono avvicinato, ogni esperienza fatta, persona conosciuta, lingua straniera imparata, tutto quanto è stato a causa della mia passione per il raccontare storie. Credo che questo processo di apprendimento parallelo sia naturale se si riesce a farsi trasportare dalla nostra passione primaria.
Il teatro e il cinema sono arrivati, mentre camminavo sulla via del racconto. Non sono andato a cercarli: stavano là. Se avessi fatto una strada diversa, non li avrei incontrati. Naturalmente non so ancora se questi incontri sono o saranno positivi, non è che tutte le esperienze che arrivano tramite la passione primaria siano necessariamente “buone”.
Perché alterni disegno “sbilenco” e disegno “tecnico”?
Perché sono troppo debole e infantile per disegnare “solo” male. E perché mi interessa esprimere concetti e forme per le quali un disegno solo accademico non sarebbe sufficiente.
In Italia il concetto di graphic novel è ancora un po’ sconosciuto. Perché credi che faccia tanta fatica a essere accettata come una forma di letteratura?
Posso dire che non me ne importa assolutamente niente? Questa discussione sulla graphic novel, sulla collocazione di certe opere in libreria, su quale scaffale, non credo che debba rientrare tra i miei interessi. Non mi sono mai chiesto cosa stessi facendo. Se una graphic novel, un fumetto, un romanzo per immagini, un esempio di letteratura disegnata. Non è un mio problema e non voglio che lo sia. Posso aggiungere che, secondo me, discuterne non serve assolutamente a niente?
E infine: mi vuoi sposare?
Questa domanda ti è scappata. Non risponderò.
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