Street art con Tv Boy
Salvatore Benintende meglio conosciuto come Tv Boy, è uno street artist italiano, ormai di fama internazionale. Ha iniziato dipingendo sui muri di Milano e adesso lo ritroviamo nel suo studio a Barcellona, dove l’artista trova l’ispirazione per creare e dipingere nuove tele.
Il suo stile inconfondibile è stato definito neo-pop. Attraverso un mash-up creativo, ovvero un rimescolamento di icone del passato, stili e personaggi contemporanei, ci propone la sue personali rivisitazioni in chiave pop.
Quest’anno ha esposto per la prima volta le sue opere alla Biennale di Venezia, suscitando qualche polemica, ma ci racconterà meglio lui stesso. Ziguline è andato a trovarlo nel suo studio a Barcellona e tra una chiacchera e l’altra, parlando di arte e graffiti, siamo andati con lui a fare un po’ di street art per le vie di Barcellona.
Quest’anno alla Biennale di Venezia, come è andata? Ti hanno censurato.
Era un contesto nuovo, molto istituzionale, a cui io non avevo mai partecipato. Volevo essere presente non tanto come Tvboy ma con qualcosa di un po’ più concettuale. Siccome era un momento politico per l’Italia molto difficile, ho voluto fare una rivisitazione ironica del personaggio di Berlusconi. Ho fatto l’associazione fra Berlusconi e l’opera di Freud What’s on a man’s mind, dove c’è l’uomo che ha in testa una donna. Allora io ho scritto What’s on a President mind e si vedeva Berlusconi con la ragazza. Solo che o non l’hanno capito o l’hanno capito troppo, e il giorno dell’inaugurazione l’hanno tolto. Io in realtà sono venuto a saperlo guardando un blog dove c’era scritto che quell’opera era stata tolta durante l’inaugurazione e poi rimessa. Io ho chiesto di ritirare tutti i lavori, perché mi sono detto: “se mi invitate a partecipare espongo tutti i lavori e li devo presentate tutti perchè è una serie, ma se ne togliete anche solo uno allora mi rifiuto di esporli tutti” però in realtà un po’ me l’aspettavo che succedesse.
Berlusconi l’ha visto?
Ah, io spero che l’abbia visto, magari gli piace anche.
Ho visto su Facebook che hai postato due foto a confronto, il prima e il dopo di un muro, prima dipinto e dopo ripulito.
Questo è uno dei primi murales che ho fatto insieme a un mio amico, Ivan, che è un poeta di strada. E’ stato uno dei primi murales che abbiamo fatto a Milano, per cui era un pezzo storico milanese e l’hanno imbiancato, neanche imbiancato lo hanno ingrigito. Praticamente l’hanno fatto talmente svogliati, che sono arrivati solo fino ad un punto. E allora lì era un po’ la riflessione che dice: “chi è il vandalo davvero? Chi imbratta le pareti però fa un bel murales? E chi lo imbratta cancellandolo in mala maniera?”. In quel caso secondo me il vandalo è chi ingrigisce i muri in quel modo, quello era un murales storico di Milano, piaceva a tutti.
Dai graffiti in strada a fare mostre ed essere artista affermato, come è stato il percorso?
Ma in realtà non è stata una cosa che io avessi cercato, è stata una sorpresa anche per me. Io mi ricordo che sono stato per cinque anni ad uscire tutte le notti per dipingere, e non è che c’era un feedback, nel senso che la gente diceva “ah che belli i tuoi lavori, voglio comprare un quadro” è stato un po’ come dice il mio amico Ivan: “abbiamo gettato i semi” e poi cinque anni dopo è arrivata la mostra al Park e da lì i primi apprezzamenti, i primi galleristi interessati. Non è che da un giorno all’altro c’è stata una strategia, nè io e nè gli altri volevamo dipingere per strada per diventare artisti famosi, è stata una cosa casuale che è successa.
E se volessi dare un consiglio a qualcuno, che come te disegnatore, creativo, artista, volesse sfondare nel proprio campo? Cosa potresti consigliarli?
Di non arrendersi subito, perchè è molto facile dedicare molta passione a qualcosa e non vedere i risultati subito, per cui ci si arrende. Bisogna avere costanza e crederci, come stavo leggendo in un libro, dove si dice che Edison prima di inventare la lampadina sbagliò 1400 volte, per cui vuol dire che riesce quello che non si arrende e continua, continua, insiste e insiste senza arrendersi.
Ci puoi accennare qualcosa sulla mostra personale che hai in programma?
Voglio presentare una mostra sempre sul discorso del mash-up: è un po’ il recupero delle icone del passato trasformate con il personaggio di Tvboy ed è un po’, secondo me, come funziona la nostra società. Nel senso che è una società che vive di influssi di mode di varie epoche, dove niente si inventa da zero, è un rimescolamento di cose.
Che personaggi ci saranno?
Mi piacerebbe farne una recuperando le copertine dei dischi dei gruppi che mi hanno influenzato di più, magari rifare le copertine dei miei gruppi preferiti o dei manifesti del cinema, magari Kubrik. Quando cerco l’ispirazione la cerco nelle cose che mi hanno influenzato, che mi hanno colpito quando ero giovane.
Sei a tutti gli effetti un migrante, come questo influenza il tuo lavoro?
Mi influenza molto. Pensa che sono originario della Sicilia, poi ho vissuto a Milano, adesso da sei/sette anni vivo a Barcellona, per cui secondo me la mia è un’”arte migrante”, come hai detto tu, una bella parola. Una gallerista mi ha proposto di fare una mostra tutta sull’Italia, io ho detto: “non mi sento un cittadino italiano, mi sento un cittadino del mondo”. Ma neanche un cittadino barcellonese, io mi sento come se oramai nell’arte si dovesse parlare un linguaggio globale, per cui vorrei che un quadro mio lo capisse tanto un indiano come un pakistano, come un norvegese. Un arte che ha le radici italiane però che diventa universale, che la può capire chiunque.
Testi e foto di Annamaria di Matera.