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Sulla crisi di oggi ci festeggiamo su, magari al Ludovico Van Festival

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Il bello di vivere in una regione del Sud, anzi in una piccola provincia di una regione del sud, o meglio in un piccolissimo centro, di una sperdutissima provincia di una regione del sud è che crisi o non crisi le cose qui sembrano non cambiare mai, nel bene e nel male. E mentre nel resto d’Italia si vive nell’ansia e nel terrore di un imminente collasso economico generale, da queste parti, ben riparati tra monti ed desolate campagne, si continua ad avere l’impressione che nulla di tutto ciò ci riguardi più di tanto.

La sensazione è che per una volta nella nostra storia vivere ai margini o al di fuori del sistema economico nazionale ci abbia avvantaggiato. Non abbiamo mai beneficiato della macchina produttiva nazionale, rimanendo perennemente incatenati ad una società prevalentemente agricola e artigianale che oggi non ci dispiace nemmeno più di tanto essere rimasti fuori dai giochi.

E mentre  le grandi manifestazioni tagliano budget, rinviano date e cercano di contenere le perdite da noi spuntano, in maniera quasi beffarda, piccole grandi manifestazioni senza budget che con la sola forza della buona volontà e la fantasia di giovani generazioni “pre-industriali” creano occasioni di svago ed d’intrattenimento del tutto insolite per i popoli di queste remote valli. E allora accade che in parco naturalistico di 40.000 metri quadri allestito di tutto punto tra le colline dell’Irpinia (area geografica nella provincia di avellino in Campania) si trasformi per due giorni nella suggestiva location di un festival musicale capace di raccogliere inaspettatamente migliaia di persone da tutta la regione, evidentemente attratti da una due giorni all’aria aperta, con tanto di concerti, dj set e gli immancabili ed inimitabili stand gastronomici che, solo in queste piccole province rurali, possono considerarsi dei mini ristoranti agrituristici ambulanti.

Sarà anche che la proposta musicale non sia quella di un Heineken Jammin festival, ma quando puoi svaccarti nell’erba in uno spazio immenso circondato solo da valli e campagne, godendoti in tutta tranquillità un bicchiere di vino locale, circondato da figuranti sui trampoli, acrobati del fuoco e da una banda brasiliana che rende l’atmosfera un po’ più esostica e un po’ meno agreste del dovuto, considerando poi che non hai pagato un euro per avere accesso a questo angolo di paradiso, non credo che le migliaia di persone presenti abbiano avuto  nostalgia o provato invidia verso chi ha scelto di investire una fortuna per prendere parte ai festival blasonati dell’estate italiana. Io almeno sto week-end l’ho vissuto così.

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Dimitri Grassi

scritto da

Questo è il suo articolo n°319

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