Sweet Home Chicago | Correndo tra i quartieri di Chicago: ghetti, segregazione e spensieratezza in una tipica domenica di sole
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Chicago ha l’inverno più stronzo sulla faccia della terra. Sì, questo, ovviamente, doveva essere l’anno peggiore che si registrava in decenni. Ho vissuto sulla mia pelle temperature fino a -40 gradi. Stalattiti lunghe come tavolate da Oktoberfest, pendenti e massicce. Ghiaccio ovunque, sempre ghiaccio, troppo ghiaccio.
Così oggi era una giornata splendida e dio solo sa quanto un chicaghese sappia apprezzare ciò: ho deciso dunque di andare a fare una corsa.
Ho messo su le mie belle New Balance fosforescenti, i miei attillatissimi pantaloni da running, una maglia bianca a righe rosse trovata qualche mese fa per strada in una scatola piena di vestiti su cui qualcuno aveva scritto FREEEEEE , con tutte quelle E al seguito, ho preso il mio IPod e sono andato.
Di fronte casa ho un parco: un parchetto senza infamia e senza lode che però sa il fatto suo e che in giornate così è sempre preso in ostaggio da persone felici della mia area, Logan Square, che banchettano, giocano a frisbee, suonano chitarre, bonghi e vuvuzele e si cimentano in sguaiatissime risate, cosa in cui gli americani sono innegabili maestri.
Non me la sono sentita di correre lì, ho voluto prendere la via dell’ovest, giù per il lungo e spazioso boulevard che taglia come dorata sciabola la mia zona.
Per citare Forrest Gump “avevo voglia di correre, così correvo, correvo e correvo”. Superato il mio isolato ho pensato così di continuare fino ad Humboldt Park, un complesso pubblico immenso di verde in cui si trovano campi da calcio, da baseball, laghetti, percorsi verdeggianti, una piscina e addirittura una spiaggia.
Correvo e sorridevo alla vita. Perché c’era un cagnolino bianco che mi seguiva e un tizio su di un’amaca portata da casa e posta tra due alberi leggendo un libro oltre che gente in bicicletta ovunque.
Arrivato ad Humboldt Park sulla sinistra potevo scorgere l’infinito verdeggiare del parco, sulla destra il profilo mozzafiato di Chicago, con quei suoi grattacieli severi e meravigliosi.
Ci sono due partite di baseball in corso. Ed è una cosa curiosa, perché sembra di essere catapultati per davvero in un film americano, di quelli che vedevo da piccolo. Prima degli States pensavo che le partite di baseball fossero in realtà una leggenda metropolitana.
Sensazionale scoperta! Il baseball esiste veramente! Eureka! Praticato anche da tanta gente, con su quelle tute a righe fighissime, quei guantoni e quelle belle mazze lucenti. C’è anche una bella folla ad assistere al match.
La mia corsa continua mentre “In the aeroplane over the sea” dei Neutral Milk Hotel mi accompagna sornione e splendido. Più giù è la volta del campo di calcio. Corro, corro, corro ma non voglio perdermi l’azione della squadra in verde. Corro un po’ all’indietro e inveisco contro il tizio che in piena area invece di tirare perde la palla come un baccalà.
Contrariato vado dritto per la mia strada. É ormai passata mezz’ora ed il sole, l’energia e la musica mi spingono ad andare più lontano. Mi ricordo di esser passato con la macchina da quelle zone un paio di giorni prima. E di essermi imbattuto in un quartiere chiamato Garfield Park.
Quartiere losco e oscuro, un vero e proprio ghetto, uno di quelli per cui Chicago è famosa.
Decido così di voler rischiare e fare un tour per la zona. Chicago ha davvero questa cosa incredibile per la quale, con 20 minuti di corsa ti trovi di punto in bianco da zone residenziali carine e tranquille a zone di assurdo degrado.
È letteralmente una questione di un block, isolato. Tra un isolato e un altro si può piombare in una dimensione totalmente diversa. E’ una cosa terribilmente affascinante.
Così imboccato il lungo viale di Chicago Ave intravedo un’America inedita, che sin dal primo giorno in cui sono arrivato a Chicago cercavo.
Un viale trasandato, popolato unicamente da afroamericani. Chicago è conosciuta per essere una città estremamente segregata. E la sensazione di ghettizzazione emana un odore forte ed acre.
La gente di Garfield Park, in questa domenica assolata, ti dà l’impressione di essere letteralmente “buttata” per strada. Ti guardano con facce difficili da decifrare. Un bianco che fa running in un quartiere interamente nero e sembra non curarsi molto del contesto. Garfield Park è uno dei quartiere più pericolosi di Chicago, con un tasso tra i più alti di crimini e omicidi. Forse non tutti sanno che Chicago è la prima città negli Stati Uniti per morti ammazzati. Ogni giorno ci sono sparatorie e morti, è un qualcosa di assolutamente incredibile. Fondamentalmente la maggior parte di questa violenza avviene nel famigerato South Side, enclave prettamente afroamericana. Ad Englewood, probabilmente il quartiere più violento della città, il comune dà la possibilità di comprare case per un dollaro per incentivare il trasferimento da parte di altre zone della città.
Correre a Garfield Park ti dà una forte sensazione di adrenalina. Ragazzi appostati davanti le serrande dei negozi che ti squadrano. Bambini in strada che giocano a basket con movenze da professionisti. Capannelli di persone agli angoli della strada. Seduti su panchine di fortuna, generatori di corrente, osservano la strada con espressioni vuote.
Poche sono le macchine che sfrecciano per il possente boulevard. Chiese e croci ovunque, culto pazzesco. Le strade trasandate, piene di sporcizia, serrande sbarrate. Le case hanno aspetti piuttosto degradati. Molte di queste hanno al posto di finestre pannelli di legno.
Decido che voglio lasciare la strada maestra e inoltrarmi nella zona residenziale, dove vedo molto movimento e molta autenticità. Villette a schiera, infinite villette a schiera una accanto l’altra. Sulle immancabili scalinate siedono con quell’espressione un po’ così gli abitanti del luogo. Ci sono bambini in bicicletta, un ragazzo si pianta in mezzo alla strada fissandomi come in tono di sfida.
Una grossa matrona nera siede su un gradino della sua veranda mentre una bambina è intenta a fargli le trecce. Sono sguardi felici misti a rassegnazione.
Ragazze con acconciature splendide ti guardano e sorridono maliziose, un po’ ti prendono per pazzo un po’ pensano che sia divertente. Ragazzi con pantaloni calati fino a sotto il sedere.
C’è una festa in questa casa e ci sono contenitori di tutti i colori sul balconcino, sono dei curiosi drink, forse granite. Palloncini di tutti i colori attaccati alla finestra. Musica proveniente dalla casa rimbomba per tutto l’isolato.
Mi trovo lì, con la mia andatura ormai sbilenca preso da mille emozioni. Dove mi trovo? Cosa succede attorno a me? Svoltando l’angolo mi trovo in un incrocio dove un paio di fast food catalizzano una folla vivace di ragazzi della zona. Qui tutti sembrano far parte della stessa famiglia. Le stesse movenze, segni d’intesa e sorrisi lasciano pensare che più che in un quartiere fatto di bolle residenziali separate tra loro ci si trovi in una comunità che condivide spazi, vita ed esperienze.
Sono vivo e preso dallo spettacolo umano che mi circonda. Ma ormai le gambe reggono poco e la voglia di solcare la via del ritorno si impossessa di me. Sterzo e mi immetto sulla via di casa.
I quartieri si incontrano di nuovo e Garfield Park di punto in bianco sparisce alle mie spalle di nuovo. Un viale immenso, contornato da splendide villette a schiera e verdeggianti prende il sopravvento di nuovo. Sono tornato nella Chicago sorniona e spensierata. Continuo a correre, baciato dal sole, ascoltando il rock delirante dei Neutral. Penso di essermi preso una folle cotta per questa città.