Sweet Home Chicago | Il Green Mill
Così la vigilia di Natale decido di portare i miei e mio fratello, accorsi negli Stati Uniti per la prima volta nella loro vita per passare le feste insieme, ad un club il cui nome è indissolubilmente legato alla leggenda. Il Green Mill. Un locale d’interni meravigliosi in cui il tempo sembra essersi fermato agli anni ‘20, quando Al Capone veniva qui a sorseggiare il suo Martini.
Così, durante l’esibizione della band, ho pensato di estraniarmi un po’, ordinare un calice di vino rosso, sedermi su di un tavolo all’angolo con alti sgabelli e descrivere, nel pieno di una trambusto emozionale, la scena che intorno a me avevo il piacere di divorare con occhi e orecchi. Questa è la testimonianza scaturita:
“Chicago è tante cose. È la windy city, la città dei Cubs, Bears, Blackhawks e Bulls, squadre di diverse discipline sportive tutte seguitissime, la città della deep dish pizza, di Al Capone, di Obama, dei milioni di festival estivi, patria adottiva del Blues e del Jazz. Parchi splendidi, segregazione razziale, sobborghi lucenti, ghetti decadenti, grattacieli che svettano virili, il lago Michigan che si estende enorme e senza fine. E c’è un locale, qui a Chicago, in cui proprio ora sto ascoltando del sublime jazz di un quartetto impregnato di arte.
Le luci soffuse, l’obbligo è di non proferire parola, semmai chiudere gli occhi e viaggiare. Ci sono posti che travalicano di gran lunga gli spazi fisici che occupano e sembrano come covare universi. Ecco, il Green Mill è quel tipo di esperienza. Di sicuro c’è un solo elemento: la musica, padrona indiscussa. La pianista questa sera, anche cantante, sembra sempre sul punto di avere un orgasmo appassionato e intenso. Gesticola, chiude gli occhi, volge lo sguardo altrove mentre le sue dita scivolano sinuose e indemoniate sulla tastiera. “Sweet!” esclama qualcuno dal pubblico con grossa voce appena un attimo primo della chiusura di un pezzo. Gli applausi scrosciano meritati dai bellissimi tavoli intarsiati di un velluto che fa l’amore con il legno che lo cinge. Non c’è spazio per le impressioni, viene così come natura e magnetico, accoglie il peso innamorato di 100 sguardi tutti intenti ad amare.
[…]
Guida spirituale, passione ancestrale, lei è un’artista che riconosci elevarsi e innalzare lo spirito con la sua arte. Prendere treni immaginari, volare lontano, laddove l’umana capacità di sognare incontra il talento più animale. Mi lascia questa dedica veloce ed estrosa, mi sorride, mi ringrazia. Sono momenti unici, di grande empatia artistica. Verso l’una la folla si dirada, pochi appassionati assorbono il ritmo del nuovo trio. Pochi visi presi e tirati, la voglia di emozionarsi scema con il calare della notte profonda.
E mentre fuori le temperature si fanno maledettamente rigide, sfiorando i -20 gradi, noi siamo qui, ad innalzare il calice verso un’atmosfera, un mondo a sé, prima di tirare i remi in barca e chiudere questa lunga giornata” Sono stato al Green Mill tre volte. Un posto diverso da ciò a cui sono abituato. Se mai avessi provato ad immaginare un locale per ascoltare jazz non avrei potuto che immaginarlo come il Green Mill. Le luci soffuse, gli affreschi sontuosi sui muri. L’atmosfera rimasta gioiosa e seria al tempo stesso, per rispetto di una grande musica, di una grande arte in cui tutto, anche i seggiolini, credono qui dentro.
La terza volta che sono venuto qui c’era un’orchestra che ha fatto ballare gli astanti. Signorine vestiti in abiti d’altra epoca danzavano con grazia accompagnati da valorosi ballerini. Gonne vaste, d’un raggio infinito, svolazzanti, movimenti fermi ma deliziosi, precisi e metodici, ma armoniosi. L’orchestra, impeccabile nello stile, espressione sorridente della musica, accompagna il festival antico. Arriva un momento in cui tutto si ferma. All’organo sale in cattedra Chris Foreman, cieco dalla nascita, leggenda vivente del locale. Virtuosismi indemoniati risvegliano gli spiriti che sembrano aleggiare sornioni nel Green Mill. E’ una musica che ticchetta nel cuore, che si sviluppa come torrente grosso e straripante.
Lo spirito del Green Mill è al suo picco. C’è un qualcosa di speciale in questo posto, mi dico. Estasia, rende una favola antica meravigliosamente attuale. Incamminandomi verso la metro al termine della serata ho puntato tutte le volte il mio sguardo verso le insegne del locale. Bello, bellissimo, un incanto che si staglia in una strada altrimenti anonima. Il suolo della strada ghiacciato, il quartiere deserto. A lasciare il Green Mill si ha sempre la sensazione di lasciarsi dietro un pezzo di storia. Storia che si ripete, nostalgica ed intensissima, ogni notte quando le luminosissime luci del Green Mill si accendono dando il via ad un’altra lunga serata di Jazz.
Green Mill | sito