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The End al teatro Palladium di Roma

Si parla di:

Marco Caselli Nirmal

Diretti, irriverenti, sfacciati, antagonisti, espliciti e provocatori: in una parola, punk! Da un profondo nordest iper-produttivo che appalta l’egemonia culturale alla piccola e media borghesia, arriva al Palladium Babilonia Teatri, una delle compagnie della scena della post-avanguardia più apprezzate in Italia. “Produci-consuma-crepa”, cantava anni fa un giovane Giovanni Lindo Ferretti
con i suoi CCCP-fedeli alla linea. E se al nordest interessa produzione e consumo, i Babilonia, che quel modello rifiutano con rabbiosa ironia, si concentrano invece sul terzo anello dell’unica catena biologica che certo Capitale prende in considerazione: la morte. Il feroce sarcasmo e il parossismo espressivo, sempre presente negli altri spettacoli della compagnia veronese, ritorna con forza anche in The End per affrontare un tabù universale, eliminandone la valenza simbolica e riportandola nell’alveo degli eventi naturali, così com’era in epoche storiche precedenti. I babilonesi, così si autodefiniscono, portano in scena dunque la realtà
concreta e quotidiana del distacco dalla vita con linguaggio sarcastico e paradossale, unico in grado di esorcizzarne la paura di una società votata alla chirurgia estetica e alla bellezza posticcia. The End, risultato di una ricerca articolata nell’arco di tre studi preliminari, segna un ulteriore capitolo nel lavoro della compagnia perché il testo sembra sganciarsi dal linguaggio martellante
degli altri lavori per acquistare maggiore respiro e l’approccio è funzionale a un tema universale slegato dalla contingenza geografica evidente, ad esempio, in made in italy. Il teatro dei Babilonia è un teatro dal forte umore sociale e, inevitabilmente, politico. Perché puntare l’obbiettivo su ciò che la nostra società tenta in tutti di rimuovere con forza è un atto eversivo. Un urlo anarchico, umanista, definitivo.

Il gran capo

scritto da

Questo è il suo articolo n°3459

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