TOdays Festival 2018: di più di un semplice festival
Ci sono eventi che diventano abitudini e abitudini che diventano eventi. Da quattro anni a questa parte a Torino si aspetta la fine dell’estate per ritrovarsi tutti insieme, appena usciti dall’ufficio o appena rientrati dalle ferie, e bere una birra sotto al palco del TOdays Festival. Che questa sia diventata una consuetudine per i torinesi, e un evento sempre più speciale per i non torinesi, è chiaro dal sold out di questa quarta edizione: eravamo tutti lì, riuniti allo Spazio211, chi per ormai consolidata abitudine, chi per assistere a un festival eccezionale.
La prima birra scende insieme al sole del venerdì sera, mentre suonano i Bud Spencer Blues Explosion. Il loro blues sporco, graffiante, puro raggiunge il culmine quando sul palco rimangono Adriano Viterbini e Cesare Petulicchio e stupiscono tutti i presenti con la cover di “Hey Boys Hey Girls” dei Chemical Brothers, con sole chitarra e batteria.
I King Gizzard and the Wizard Lizard (ho dovuto scriverlo molte volte prima di impararlo a memoria, N.d.A.) e il loro rock psichedelico ci fanno sentire ubriachi: in sette sul palco, due batterie, il loro è uno show che alza l’asticella dell’adrenalina al massimo. Si possono sentire svariati commenti di presenti che, quasi storditi, commentano: “è quasi come farsi un trip, e non mi sono mai drogato”. Non sappiamo cosa succeda in Australia ma, a quanto pare, se pensiamo anche ai Tame Impala, il revival del prog psychedelic rock sta funzionando.
A farci tornare ben radicati coi piedi a terra sono i War on Drugs, main show della serata e live attesissimo dal pubblico (il sold out è tutto per loro), che si stringe in cori e si lascia trasportare da questa ondata di malinconia, suonata senza sbavature. Qui le birre servono a chi si sente solo, a chi osserva gli altri perdersi in abbracci d’amore.
La notte comincia con il live dei Coma_Cose, spinge coi Mount Kimbie e tocca l’apice con Lena Willikens, che ci trascina con la sua proto techno in un mondo irreale da cui non vorremmo uscire mai. A risvegliarci, Falty DL, il produttore americano che con la sua elettronica ci accompagna a casa, con le facce stanche ma felici.
Non si fa in tempo a riposarsi, ci si riunisce nuovamente sotto palco per il live di Daniele Celona, una delle più grandi scoperte del festival, che già alle 18.30 alza i volumi come fossero le 22, e ci fa ascoltare il suo cantautorato grintoso, accompagnato dal suo stile inconfondibile. Tante le persone già raggruppate per lui, tanti torinesi venuti apposta per il portabandiera della serata.
Colapesce: cosa si può dire di questo infedele che porta sul palco l’immaginario cristiano, per fare di un concerto un rituale sacro? Nonostante la voce un po’ bassa, lo spettacolo di Colapesce è magico: lui ci benedice con la sua “Satellite”, ci fa scendere una lacrima non voluta, e ci fa cantare per non pensare a quanto siamo maledetti, ognuno a suo modo, sotto quel palco divino.
Quando sul palco salgono i Mogwai invece, il tempo è sospeso. Non servono birre, nemmeno sigarette, e forse non servono nemmeno le parole per descrivere questo live: il religioso silenzio di tutta la folla, i vuoti incantati riempiti dal frastuono delle chitarre sono un’esperienza difficile da raccontare per chi non l’ha mai provata. Solo alzando gli occhi e osservando i volti estasiati di chi ti sta intorno, puoi comprendere la loro potenza emotiva. È stato forte, intenso, una moltitudine di emozioni riversata su tante solitudini, perché i Mogwai sono così, ogni loro concerto è un’esperienza solitaria e personale, nonostante sia condivisa con altre migliaia di persone.
Non c’è tempo però, per languire nell’emozione, perché altri amici ci aspettano per la lunga festa dell’Incet, aperta da Cosmo che ormai ha fatto del divertimento il suo inno. E quindi, tutti a cantare in coro “È divertente, non costa niente”, ad abbracciarsi su “Amore” e cercare lo sguardo delle persone care quando scatta “Sei la mia città”, ode all’amore e a quel luogo sicuro che chiami casa. E a Torino siamo molto sensibili, quando si parla di amore e di città che ti fanno sentire a casa.
Le ultime ore del sabato (o meglio, le prime ore della domenica mattina) scorrono veloci come i set dei Mouse on Mars e degli Acid Arab, una escalation di suoni tra elettronica, nu disco, garage e musica araba, per arrivare ai Red Axes e alle loro cavalcate sonore, sporcate di musica israeliana. Le persone in visibilio ballano scatenate, come raramente si vede in pista. Cosmo aveva promesso una festa luna fino al mattino, e nessuno si è tirato indietro. Vale la pena dirlo: chi non c’era non sa cosa si è perso.
Ed è quando pensi che sia il caso di smetterla, con le birre, ti ritrovi al Parco Aurelio Peccei sotto un sole che ricorda tanto Rimini, con M¥SS KETA e le ragazze di Porta Venezia. Unica, iconica, atomica, non delude le promesse, porta sul palco la sua sosia ufficiale, fa scatenare l’ondata di fan (veri e propri groupie) accalcati sotto la struttura post industriale solo per lei. E a fine concerto la folla si riversa nel backstage, solo per un selfie con “Monica”, o per dirle quanto è brava. Non sarà Madonna, ma il fervore quasi mistico che l’accompagna fa di M¥SS KETA un fenomeno di costume tutto italiano da studiare e approfondire.
La domenica, per chi è d’abitudine al Todays Festival, è quella giornata che ti sorprende. Una line-up incastrata alla perfezione ti permette di ascoltare il pop fresco di Generic Animal, classe 1995 e già nome noto in tutto il panorama italiano, prima degli Editors.
L’emozione di certo non manca, perché Maria Antonietta, con la sua dolcezza e nonostante la sua laringite, ci ringrazia e ci dice che sta festeggiando il suo compleanno, prima di cantare per noi, sola con la sua chitarra “Questa è la mia festa”. La grazia e la forza, la dolcezza e la rabbia di Maria Antonietta confermano la sua grandezza, è una donna unica, capace di parlare al cuore del pubblico e di mostrarsi sempre all’altezza di ogni situazione. Difficile non innamorarsene e non volerle bene.
Parlavamo di sorprese per questa domenica, e di emozioni: Ariel Pink sicuramente non lascia indifferente nessuno. Chi lo odia, chi lo ama, questo pazzo americano è a rappresentazione della parola eclettismo. Personalmente noi lo abbiamo adorato: scatenato come un pazzo, folle quanto basta per non risultare mai noioso, il suo live è una festa, a volte per adulti, a volte per bambini. Ma chi non ha voglia di far emergere il bambino nascosto in noi? Quello di Ariel Pink è un invito a fare quello che ci piace, a divertirci, a prendere la vita con leggerezza. Quasi come il messaggio di M¥SS KETA.
Scende l’ultima birra del festival mentre sale la luna piena, sulle note di “Smokers Outside the Hospital Doors” degli Editors. Un live impeccabile, persino troppo, un pubblico che già dalle nove del mattino era in coda per accaparrarsi i posti in prima fila, una folla che all’unisono canta “The Racing Rats”, un bambino, che sulle spalle del padre, passa l’intero concerto a suonare la batteria. Tutti l’abbiamo visto, tutti abbiamo pensato a quanto fortunato fosse, quel bimbo, e quanto fossimo fortunati noi a vivere con lui quei momenti.
E sul finale di questa tre giorni, come sempre ci siamo ritrovati a scambiarci pareri, a ridere e ad asciugarci le guance, a salutarci e a dare il nostro addio silenzioso all’estate, sapendo che aspetteremo tutti un anno per rivederci di nuovo, nella periferia di Torino, sotto quello stesso palco, a berci una birra, come consuetudine.
Perché un festival non è solo musica: è amore, è passione, è la gioia di ritrovarsi insieme per provare quel brivido che senti scorrere sulla pelle quando parte quell’accordo di una canzone che parla della tua vita.
Questo è il bello di TOdays Festival, ti fa sentire fortunato ad avere la musica come compagna e tante persone – amici, conoscenti e sconosciuti – come compagnia.
Testi e foto di Claudia Losini.