Toilette Stories
I centri commerciali sono come stazioni spaziali su pianeti inesplorati. Fulgide e mistiche oasi per società collassate su agi in avaria. Ma dovevo pur fermarmi a pisciare da qualche parte e fermarsi in autostrada non sembrava una buona idea, soprattutto quando si è inseguiti da occhi maniacali su retrovisori di spericolati autisti che hanno indugiato troppo su film come “duel”. Svolto a destra. Il centro commerciale attira carne umana, come l’irresistibile puzza di Mc Donald’s in un giorno di ferrea dieta a perdere. E sono già in mezzo al serpentone metallico che infrange il sole su specchietti avidi da poterci tirare coca fino allo sfinimento. Macchine di sbandati che cercano parcheggio come eroinomani l’ultima dose. Poi, inaspettato, un miraggio, l’insegna che cercavo, io anima sperduta in un inferno dantesco di segni e segnali condannati all’immobilità permanente, il cesso ora era più importante della fame nel mondo, forse in fondo, l’uomo rimane un essere meschino pronto a svendersi in ogni momento. Apro gli occhi al presente, dopo l’ennesima notte viziata e andata.
Sveglia con la voglia di niente, se non di appagare il sintomo di fame. Arrivo al frigo. Vuoto! Cazzo! La mente corre veloce verso l’immagine nauseabonda di mandrie stressate nei sabati commerciali. Addento maniacale un pezzo di pane stantio e mi reco al bagno. Mi siedo sulla tazza del cesso ghiacciata e ricado in catalessi sensoriale. Riaffondo nei sogni insipidi di un sonno forzato. Il corpo mano a mano si rilassa. Con gli occhi socchiusi cerco il profondo spazio tra i muscoli delle gambe irrigiditi dalla posizione. L’eccitazione comincia a scaldare le vene, il sangue pompa sempre più forte, mentre il respiro ansima. Continuo a toccarmi, come in trance; lentamente accompagno il movimento con il bacino, fino ad accelerare freneticamente. Fino a cadere in un torpore surreale. Orgasmi rubati alla solitudine. Ma sono appagata. Lavo il piacere dalla mia pelle madida. Mi vesto, senza badare a cosa metto e mi avvio a quel dannato supermercato.”Eccomi in pole position per la fila al cesso. Pare che i centri commerciali stimolino la vescica di automi castrati in sembianze di pseudo mariti con lista della spesa trascritta da nervose dita mogliesche che mentre mandano il maritino a fare la spesuccia si fottono il primo che passa a casa loro. Perduta in questo paradiso di lattice ed ovatta, tra sghignazzi di bimbi smarriti come me e mamme che li rincorrono ticchettando per terra con improbabili e mignotteschi tacchi a spillo. Quindi il cesso, il cesso che ho davanti luminescente come un insegna paracula. Il cesso per vomitare tutta questa robaccia scaduta e accumulatasi in archetipi junghiani di massa di reclame e inondare di piscio questa umanità dinamicamente morta e sepolta in comparti di latta come scatole per sardine. La vedo, freme tra gli scaffali, sa di esser notata eppur la sua timidezza farebbe pensare il contrario. Me la assaporo con la vescica stimolata in coda. Lei,un cesso. Un binomio prioritario, la mia legge del momento. In macchina, rituali stereotipati. Telefonino a portata di mano, sigaretta accesa, stereo inserito. L’ora è quella in cui ci si ritrova imbottigliati in mezzo ad una coda di idioti senza nessuna meta se non la demenzialità. Insulse e patetiche ombre meccaniche su motori roboanti. Arrivo. Dentro aspettano centinaia di scaffali invitanti; ordine studiato a tavolino da scienziati di marketing di bassa lega. Prodotti sponsorizzati avanti, altezza braccio telecomandato. In basso, sottomarche sconosciute. Il tutto avvolto da musica per famiglie. E dipendenti frustrati che sbuffano al primo apostrofo clientelare. Dopo aver preso tutto l’inutile da quei scaffali in cui sono esposti cibi pronti già conditi, (quelli che potrebbero essere segnalati come: CIBI PER INCAPACI CULINARI), mi dirigo alla cassa. Sono fuori. Alzo gli occhi, incuriosita dall’ombra di un individuo che mi sfiora impercettibilmente. Sembra disperso. Procede dritto, ignorandomi. Scruto indifferente la sua camminata decisa, ma lenta. Quasi stesse studiando ogni mattonella calpestata. Si sta dirigendo verso il bagno. Rapita da un’irrefrenabile e inconsueta curiosità, lo seguo. Unica porta, unico cesso. Gli sono ad un passo. Sento l’irrigidirsi dei suoi muscoli. Sniffo e assaggio odore di pelle, di capelli appena lavati. Calda e accogliente, desidero che i suoi occhi si poggino bramosi sulle curve generose. Le mani esplorino ogni minima parte del corpo per compiacerne le voglie più subdole. Ci studiamo come due pugili pronti ad altri combattimenti, frenesia da usa e getta. Si accoda dietro me, sento il suo odore, il sangue mi pompa nella testa, irradiandosi fino al basso ventre, una radioterapia selvaggia, mi indurisce la fronte e il cazzo, dietro di noi nessuno, la fila finisce qui. Ce la spasseremo dentro quel cesso pubblicamente e oscenamente esposto al via vai di simmenthal sub-umana. Mi spinge dentro da dietro concitata solleva la gonna, toglie via rapidamente le mutandine di non so che colore, perché punto dritto al suo sesso sporgente di peli e mucillagine: la affondo rapidamente e inesorabilmente, forse ho gli occhi chiusi e osservo nello specchio, il mio viso stravolto dall’eccitazione, unendo umori e fatiche come pane quotidiano inzuppato nel sacro calice di vino. Guardo noncurante dietro me. Nessuno. Sorrido divertita. Lo spingo con energia dentro il cesso vuoto. Frenesia di godere. Direttamente proporzionale alla sete di disinibizione. Sbatto la porta, mentre lui sbatte al muro me. Alzo la gonna. Spingo la testa in basso. Giù, con forza, all’altezza del pube. Quasi a volerla inglobare, per poi espellerla come sangue livido. Lingua umida e insinuante. Mescolanza di saliva e peli, odori e sudori. Movimenti meccanici di corpi eccitati. Avanti e indietro. Spinge. A infrangere vili e ridicole barriere. Fisso persa il muro imbrattato da scritte vandaliche, di giovani puttanieri e segaioli alle prime armi. Apice di orgasmi. L’odore acre del piscio entra fastidioso nelle narici. Senso di nausea. Mi rivesto, pulendo con carta – igienica – vetrata sperma fuori uso. Giocosamente seri ci ricomponiamo sporchi di seminescenze oltraggiata come acne giovanile si allontana. Non una parola da dire. Non un gesto superfluo da compiere. Si allontanano allora come due estranei, soltanto lo scintillio di una nuovissima fede attorcigliata come filo spinato al dito li rende socialmente riconoscibili, burocraticamente inscindibili. Due perfetti sposi, una perfetta luna di miele.
[Cronache dal Porno Cess di Hugo Bandannas e Valentina Brie]