TOO HAPPY! Insolito entusiasmo nell’iconografia pubblicitaria americana
Sono molto affezionata ad una stampa di Marilyn Monroe che ho trovato in un mercatino dell’usato a Milano. E’ per la precisione una copia illustrata di una foto che la ritrae entusiasta ed al tempo stesso indemoniata mentre stringe in entrambe le mani una quantità di gioielli luccicanti che quasi le cadono a terra. Lo sfondo azzurrissimo stacca violentemente con il giallo morbido dei capelli rigidi e con le labbra rossissime e appuntite mentre sembra quasi di sentire il ritornello un po’ isterico di “diamonds are girl’s best friend”.
Le foto e i ritratti di Marilyn oggi appaiono come dei piccoli drammi iconografici, i suoi occhi e la sua espressione hanno una potenza comunicativa unica per un semplice e complesso motivo: Marylin è l’incarnazione della femminilità americana pubblicitaria che si è deteriorata. Il suo tristissimo vissuto personale scivola fuori da ogni singolo particolare estetico e la rende il simbolo di una donna americana sempre appagata e bellissima e allo stesso tempo il suo stesso totale fallimento. Non credo che Marilyn ne avesse una particolare coscienza, o forse si, e la sua amarezza ne sarebbe testimonianza, ma di sicuro prima di lei una serie di donnine, create da celebri padri dell’illustrazione pubblicitaria, riempivano l’immaginario americano di uno certo modello di femminilità e di un certo modo di vivere la vita domestica. Ancora oggi vediamo scorrere sugli schermi tv una serie di nauseanti spot pubblicitari che celebrano una serenità domestica inusuale e fastidiosa, ciò testimonia che nel 2009 ancora il claim “vi renderemo felici” funziona alla grande. Effettivamente si può dire che questo costituisca proprio la massima filosofica della moderna tecnica pubblicitaria di massa, di cui il modello americano è il guru assoluto. Ma per arrivare ai romanticismi radical della Barilla e al bucolico vivere sereno della Mulino Bianco dovete passare per il Dado Star e soffermarvi un minuto sulla signorina che è ritratta sulla confezione.
Costei è la versione italiana di un perfetto esemplare appartenente a quella che si può definire “ la scuola dell’entusiasmo esasperato”. A questo genere si sono dedicate molte agenzie degli USA tra la fine degli anni 40 e per quasi tutti gli anni 50, in cui era molto frequente imbatteresi in bambini lentigginosi con qualche dentino in meno che lavavano i piatti felici come se brandissero in mano la spada di Excalibur. Anche il bambino non mancava di avere una precisa configurazione iconica: le orecchie a sventola, i dentoni, un colorito sano e vivo e la Florida Citrus Commission amava ritralo fin troppo bramoso di scolarsi un’ aranciata piena di vitamina C sintetizzata. Ma finchè si parla di elettrodomestici, di aranciate o splendide montature per occhiali, si può capire come l’entusiasmo non sia mai abbastanza. Ben più inquietanti diventano le illustrazioni quando mostrano un operaio incredibilmente felice sopra una scritta gigante Dicyclopentadiene!, alle sue spalle si intravedono ciminiere nere fumanti e un cielo verde post-atomico.
L’operaio probabilmente è impaziente di fare il suo turno a contatto con questo pesticida altamente tossico. La Nash-Kelvinator Corporation per la campagna del 1944 preferisce puntare su uno scenario di guerra in cui un soldato ferito e sanguinante sorride sollevato al pensiero dei frigoriferi e delle lavatrici che lo aspettano all’altro mondo. Un sottogenere di questa interessante tecnica di persuasione è quello in cui alcune giovani signorine sembrano essere quasi in trance ammaliate dalla bellezza del loro costume nuovo o dall’odore ipnotico di certe fette di pancetta fumanti sul barbecue, come si vede in un opera del 1946 del celebre Du Pont.
Molti artisti contemporanei sono rimasti colpiti da questo universo colorato e preoccupante da Edward Hopper (in mostra a Milano just now) a Andy Wharol e Lichtstein fino all’arte manipolatrice degli ultimi Bansky e street-artists che intervengono direttamente sui manifesti. Che dire, Everything tastes better with Advertising!.