Tristi tropici al Palladium Università Roma Tre
Coreografo di fama internazionale, torna al Palladium Virgilio Sieni con lo spettacolo con cui ha debuttato alla Biennale Danza di Venezia. Tristi tropici, ispirato all’omonimo libro di Claude Levi Strauss, è un’opera evanescente sul tema della diversità, una coreografia melanconica dedicata a un mondo che scompare. Un grande maestro della danza contemporanea italiana, esploratore coraggioso di territori molto lontani dal proprio orizzonte performativo, dopo la trilogia ispirata al De rerum natura di Lucrezio si confronta con lo sguardo antropologico per creare una coreografia
dal forte impatto visivo. Articolato in tre parti, Tristi Tropici vede in scena Simona Bertozzi, Michela Minguzzi, Ramona Caia, la danzatrice settantenne Elsa De Fanti e una ragazza non vedente, Filippa Tolaro. Vero architetto del movimento, Virgilio Sieni porta in scena una danzatrice non vedente per far esplodere le dinamiche dello sguardo. Volando con la fantasia, viene in mente allora il capolavoro postumo e irrisolto di Stanley Kubrick, Eyes Wide Shut, occhi chiusi-aperti, la (in)capacità di vedere oltre, di prendere coscienza dello spazio con strumenti diversi. Se, infatti, nel film di Kubrick lo spettatore sperimentava le dinamiche del vedere sulle traiettorie dissestate e sulla deriva dello sguardo del protagonista, sulla sua incapacità di vedere, nell’opera del Maestro Sieni, il pubblico assiste (guarda) il rapporto risolto di un non vedente con lo spazio e con il movimento.
È il tema della distanza – distanza da un mondo e distanza dello sguardo – dunque il nucleo di senso attraverso il quale Sieni rilegge l’opera di Lévi Strauss. E riannodando i fili con l’opera dell’antropologo, il Virgilio della danza contemporanea italiana ne recupera la natura letteraria e non scientifica perché Tristes Tropiques non è un saggio ma un diario scritto durante le spedizioni in Amazzonia compiute negli anni Trenta. La ricerca di uno sguardo diverso si trasforma quindi nella celebrazione del pensiero selvaggio (come pensiero alternativo al razionalismo occidentale) e
del suo lento crepuscolo. Con il tono della grande elegia, Sieni mette in scena il tentativo di recuperare il senso di unità perduto con l’affermazione del dualismo di matrice cristiana. E, ancora contro il razionalismo occidentale, il coreografo fiorentino celebra, attraverso figure femminili che appaiono di lontano come aloni indefiniti, un perduto universo coeso dove i simboli si ripetevano cosmicamente, prima della frantumazione del progresso. Una elegiaca metafora corporea di quello che il grande pensatore francese definiva «l’opportunità perduta dell’Occidente
di restare femmina».