Un altro Sònar da baciare
Un Sònar diverso, ma sempre un grande Sònar. È davvero un festival che non smette mai di cambiare, un grande evento che è capace di non rimanere sempre lo stesso, che è abile nel non non farsi definire sempre alla stessa maniera. Anche se il Sònar 2016 non ha stupito per effetti speciali, non ha brillato per nuove grandi scoperte, ha luccicato per tutto il resto, ancor più di molte altre edizioni.
Non solo perché il Sònar non deve dimostrare più nulla a nessuno, e per quanto si chiacchieri dei rapporti con l’altro grande festival catalano, il Primavera Sound, il Sònar prende e porta a casa un’altra edizione di successo, fatta da oltre 115mila persone, con il sold out degli hotel in città e un ritorno economico per la Catalogna calcolato sui 72 milioni di euro (dati Deloitte). Numeri da capogiro per una rassegna musicale che mette insieme stili e idee completamenti assurdi, differenti, contrastanti, e fatti da un pubblico diverso, e differenziato.
E pure in questa quest’edizione si è messo in line up Anhoni e Flume, Jean Michel Jarre, James Blake e Richie Hawtin, ma anche i New Order, anche Red Axes, e Fatboy Slim e tanta altra roba davvero dissomigliante. Abbiamo visto moltissime cose interessanti, abbiamo ascoltato e ballato musica per tre giorni di fila, e anche se c’è stato qualche momento in cui non abbiamo capito esattamente cosa fare (c’è da ballare? siamo in notturna per saltellare su vari dancefloor o c’è da ascoltare e ciondolare avanti e indietro con il corpo su ritmi spezzati, nuovi e a tratti un po’ strani, ma sempre molto fighi?) siamo tornati sempre col cuore gonfio d’amore per il Sònar e non soltanto per il festival in sé, ma anche per quell’incantesimo della città, tutta avvolta intorno al pubblico festivaliero giunto da ogni parte del mondo.
La storia è questa: il Sònar non è mai lo stesso, eppure si ripete da qualche tempo, ogni anno è diverso, qualche critica si può fare, e ci sta, ma si è sempre stregati da quel fascino che sa spandere per le strade di Barcellona; riconoscersi per il braccialetto al polso, incontrare amici oramai lontani, ogni anno, qui è tradizione, tuttavia rimane irresistibile quasi come la prima volta.
E poi il Sònar rimane sempre quel posto che rimette la musica al centro e ne fa godere per tante ore di fila, e fa riscoprire cose, capirne meglio altre, fa lucidare gioielli diversi, quelli elaborati e quelli meno vistosi. Tante perle, come il live della bravissima Santigold nel pomeriggio del venerdì, al Sònar de dia, un’ondata di freschezza e pubblico sul palco con lei a twerkare con le ballerine.
Ci è piaciuto molto il dj set a sei mani degli Underground Resistance: hanno messo su una super festa il venerdì pomeriggio al Sonar by day, non solo tecno, ma atmosfere da party col sole che entrava nelle fessure del tendone e lasciava tutti illuminati a ballare sotto cassa, abbiamo adorato il romantico live dei Badbadnotgood del sabato pomeriggio bagnato e quello più duro del rap inglese di Roots Manoova. Ci siamo emozionati nel vedere quanti aficionados popolavano la sala di Jean Michel Jarre e quella dei New Order il giorno dopo.
Le scintille però si sono viste durante il noche del venerdì non solo per il primo live spagnolo di Flume (idolatrato, amatissimo, cantatissimo dalla folla), altre scintille (del tutto inaspettate) calano sullo stesso stage all’aperto, dove appare il dj danese col cappello, e come un mago, l’elegantissimo e sorridente Kolsch ( grossa presenza nell’etichetta Kompakt) tira fuori da quel cilindro un live inaspettato, e quella scritta “irrepressible techno” che campeggiava sulla sua bio sul sito del Sònar diventa elegante armonia, di archi e violini, su casse potenti, su beat incalzanti, e mentre la pioggia scende su Barcellona, quello diventa lo stage più carico di gente di tutto il venerdì del Sònar noche.
È stato veramente magico vedere tutte quelle mani al cielo, sotto la pioggia, dinanzi a un dj super ballerino, così tanto partecipe. Ecco, perché questo festival è unico. Una notte che andava vissuta, appieno, anche sotto l’acqua con la stanchezza nelle gambe. Del resto negli stessi momenti al Sònar Car c’era Four tet a divertirsi in mezzo a tutti i ritmi dritti e spezzati, a cui ci ha abituati. E mentre noi di ziguline steccavamo un taxi con dei canadesi giunti per l’apposito evento, e raccoglievamo pareri e umori “è forse l’edizione più grime di sempre” (con i momenti di Booka Shade e Boys Noize, e tanti altri piazzati in orari in cui ci si aspettava sempre la cassa dritta) ci preparavamo al dj set dell’anno, al dj set della vita.
Sabato noche il Sònar Car, che aveva ricreato il club nel club, ahimè portandosi un po’ di fila all’ingresso qualche difficoltà ad entrarvi nelle prime ore, ospitava forse il più grande dj di tutti i tempi: Monsieur Laurent Garnier che ha fatto il capobanda per 7 ore di fila, suonando sempre in punta di dancefloor, senza mai staccare una presa, senza mai perdere una battuta, e se forse qualcuno si aspettava un set eclettico fatto degli amori della sua vita musicale – che non sono solo house e techno, ma chi lo segue sa che sa sbizzarrirsi a suonare dubstep e rock e raggae nello stesso set – ha trovato invece un mega dj set da super club, dove house e techno e electro si sono alternate a dovere senza noia, dove l’intento era quello di far ballare, punto.
Un ragazzo del ’66 ha messo ancora la sua firma d’oro su un’altra edizione del Sònar, e noi gli siamo grati, perché ci ha fatto tornare a casa col sorriso stampato sulla faccia, uno di quei sorrisi che non se ne va per ore e ore e resta attaccato addosso anche all’aeroporto, alla partenza, mentre presi da ritardi e valigie, ci si guarda intorno a incrociare altri braccialetti ai polsi, a sorridere sotto i baffi, a cercare disperatamente i pezzi beccati su Shazam, rubati nella notte dal dj set dorato del francese innamorato del dancefloor.
Non ci si stanca mai di ballare, non ci si stanca mai di perdere la voce in quel week-end di giugno, non si dimentica mai un Sònar!