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Un caffè con Marco Rea

Era da tanto che volevo fare due chiacchiere con lui e finalmente qualche settimana fa, durante il secondo Live Show di ziguline a La Calzoleria,  ho preso coraggio e gli ho chiesto di raccontarci il suo mondo. Con un gran bel sorriso mi ha accolta nel suo studio al Pigneto, un posto fantastico pieno di roba fica, in parte imballata pronta per essere spedita oltre oceano, per una mostra che tra non molto si terrà a San Francisco. Marco Rea non è solo un artista straordinario, è un gran simpaticone e un grande bevitore di caffè. Ora che lo sapete buona lettura!

 

White Face

 

Cosa fa Marco Rea nel suo studio al Pigneto con i cartelloni delle pubblicità?

 

Immagina un tipo vestito di nero che arriva davanti la porta del suo studio; sotto il braccio ha più manifesti pubblicitari di quanti riesca a portarne, magari “prelevati” la notte prima in giro per la città. Entra in studio, mette un po’ di musica, indossa una maschera anti gas e con delle bombolette spray inizia a trasformare quei manifesti, creando qualcosa che prima non esisteva… un gioco, una sfida a volte una lotta.  Questo più o meno è ciò che fa Marco Rea nel suo studio.

 

Come vedono gli altri quello che fai?

 

Alcuni vedono i miei lavori come immagini inquietanti o addirittura violente, per me non c’è mai nessuna violenza. Utilizzo spesso il colore rosso e il rosso non è un colore libero, quasi automaticamente viene associato al sangue e quindi alla violenza, mentre per me il rosso è il colore rosso e basta.
Altri vedono il mio lavoro come qualcosa di strano, mi domandano: “perché non dipingi tutto tu anziché dipingere su una pubblicità?”. Potrei farlo, ma per assurdo avrebbe meno valore. Sarei uno dei tanti pittori più o meno bravi ma nulla di più, mentre in questo modo il mio lavoro è qualcosa di riconoscibile, unico e originale.

 

 

Quando hai iniziato a fare quello che fai?

 

Personalmente sono sempre stato interessato ad esplorare la figura umana con la sua geografia e le sue mappe.
Come tanti artisti ho sempre amato disegnare, sin da piccolo e anche negli studi ho sempre percorso strade legate all’arte.
I miei primi lavori erano realizzati ad olio su tela utilizzando come soggetti immagini prese dal mondo della pubblicità; parallelamente a questo facevo anche graffiti in giro per la città, è stato quasi naturale per me iniziare a fare quello che faccio ora: pittura spray su manifesti pubblicitari.

 

Nelle tue opere si vedono solo volti trasformati. Hai mai pensato di lavorare altre parti del corpo?

 

Sì, in realtà ho fatto anche alcuni lavori raffiguranti il corpo e mi interessa moltissimo lavorare su questo tema, l’unico problema è la difficoltà nel trovare le pubblicità adatte.

 

 

Come hai scritto sulla tua biografia c’è molto di Francis Bacon e Franz Kafka in quello che fai. Come i due artisti ispirano i tuoi lavori?

 

Mi ispiro a loro ricreando quelle atmosfere tipiche delle loro opere letterarie e artistiche.
Kafka, come anche Poe, con le loro atmosfere oniriche e claustrofobiche, mentre Bacon… non trovo le parole per descriverlo, gli sarò grato a vita per ciò che ha creato.

 

Cos’è il pop surrealism per te?

 

Ti rispondo come ho risposto ad un’altra persona che mi ha fatto la stessa domanda: “credo che sia quello che sta scritto su wikipedia”, nel senso che non è qualcosa che mi interessa molto, anche se ne apprezzo diversi artisti.
In diverse mostre sono stato accostato a questa corrente, personalmente non ho mai trasformato il mio lavoro per essere associato ad un movimento o una corrente, continuo a fare ciò che mi interessa a prescindere; se poi viene reputato Pop Surrealista va bene così.

 

La dama bianca, pittura spray su manifesto pubblicitario

 

Come molti tuoi colleghi anche tu navighi a metà tra pop surrealism e street art. In cosa ti senti più affine?

 

Forse mi sento più affine a tutti e due o forse a nessuno dei due. Dovendola etichettare penso che la mia sia più Appropriation Art o arte Post-graffiti, vengo dal mondo dei graffiti che però è qualcos’altro rispetto alla Street art.  Amo la Street Art ma non credo che ciò che faccio possa essere definito così, dal momento  che il mio lavoro non è per strada, anzi il mio è un processo opposto. Lo street artist in teoria dona le sue creazioni alla strada, mentre io dalla strada prendo per creare altrove.

 

 

C’è una domanda che vorresti che io ti facessi?

 

Sì… “Caffè?”.

 

Marco Rea | sito facebook galleria

 

 

 

 

 

Eva Di Tullio

scritto da

Questo è il suo articolo n°178

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