Un milionesimo di secondo dopo il Big Bang | intervista ad Antonio Saba
Da qualche settimana è stato annunciato l’ormai pluricelebrato Calendario 2010 Pirelli, curato questa volta da quello sporcaccione di Terry Richardson che ha voluto fare un altro bel regalo a noi maschietti e alle centomila autofficine sparse un pò in tutta Italia. All’inizio pensavo di dovergli dedicare un pezzo ma poi mi sono detto: “basta con queste foto di donne nude riprese in tutte le salse, e non se ne può più!” . Per questo oggi ho deciso di presentarvi il lavoro di un fotografo italiano forse meno conosciuto di Terry Richardson ma il cui lavoro è altrettanto affascinante, se non altro per l’originalità dei soggetti scelti. Lui si chiama Antonio Saba ed è un cultore della fotografia industriale. I suoi soggeti preferiti sono enormi e misteriosi impianti produttivi di cui riesce ad offrire una lettura del tutto inaspettata attraverso i suoi scatti. L’ho scoperto per caso incrociando alcune sue suggestive immagini realizzate nei laboratori sotterranei del CERN di Ginevra dove ha realizzato il suo ultimo lavoro fotografico intitolato “One millionth of a second after the big bang“. Ecco il testo della nostra conversazione.
Mi racconta come mai ha scelto di realizzare un servizio fotografico proprio nei laboratori sotterranei del Cern di Ginevra?
Nel 2005 realizzai una mostra fotografica intitolata “La Bellezza della Fisica”, in questo mio lavoro applicavo il linguaggio della fotografia industriale moderna alle varie specializzazioni della Fisica, tra le altre riprese ne realizzai tre al CERN di Ginevra, e in quella occasione scattò l’amore reciproco, mio per quelle enormi e complesse strutture e del Board del CERN per il mio modo “visionario” di interpretarle.
Cosa le ha fatto pensare che degli acceleratori e dei rilevatori potessero avere qualche tipo di fascino ai fini della sua fotografia?
Guardo alle strutture industriali per la loro forma e per come mi immagino possano essere ritratte, non per la loro funzione, il mio approccio è assolutamente estetico. Le macchine da me fotografate al CERN sono esteticamente bellissime, articolate, trasparenti e spesso enormi ed incombenti. Quanto di meglio potessi desiderare.
E’ stato difficile ottenere l’accesso ed il permesso di fotografare gli impianti?
Essendo stato incaricato dal Board dell’esperimento ALICE al CERN della realizzazione del libro, nessuna difficoltà, ovviamente io ed i miei assistenti abbiamo dovuto seguire dei training per la sicurezza.
Quanto tempo ha impiegato per realizzare questo servizio?
Tre anni circa.
Da cosa è stato maggiormente impressionato una volta arrivato lì sotto?
Senz’altro dalla complessità della struttura, un organismo mastodontico in cui ogni rivelatore e ogni vite al suo interno ha la sua funzione e costituisce un altro microcosmo.
Guardando le sue foto sembra che siano state estrapolate da un film di fantascienza eppure quello del Cern è una importante realtà internazionale. Ho come l’impressione che il grande pubblico non sia molto abituato a vedere questo tipo di immagini visto l’assuefazione a scene piuttosto ricorrenti di modelle, seni e natiche che imperversano ovunque. Non ha paura di non essere apprezzato e capito con questo genere di “ritratti”?
Ma.. fortunatamente esistono diversi tipi di estetica, senz’altro la mia fotografia di Industria è molto influenzata da certi film di fantascienza, primo fra tutti Odissea 2001 nello spazio ma anche da una certa arte contemporanea, dalla Pop Art, a Francis Bacon, a Pollock.
Personalmente sono rimasto colpito dall’intensità dei colori di queste foto. Immagino che sia un effetto voluto visto che nella mia immaginazione un laboratorio sotterraneo come quello del CERN sia tutt’altro che vivace e colorato. Mi sbaglio?
Solitamente incontro in Industria macchinari ed ambienti grigi, al CERN , nel sotterraneo il Magnete è rosso esternamente. Mi piace guardare il soggetto da ritrarre ed immaginarmelo con delle luci colorate, come spesso avviene naturalmente in questi contesti, una luce d’emergenza può colorare di rosso l’acciaio, il neon da una sensazione blu/verde. L’immagine mentale che abbiamo delle macchine e di questi ambienti non è grigia. Io gioco con delle luci colorate ricreando delle situazioni immaginarie, nell’intento di generare emozioni nello spettatore.
Non mi sembra di aver visto gente in posa. Cosa ci vuol dire che i ricercatori erano così presi dal loro lavoro che non si facevano distrarre nemmeno dall’occhio del suo obiettivo?
Tutte le persone presenti nelle immagini sono in posa, d’altronde per ogni scatto ho avuto bisogno dalle 2 alle 3 ore di lavoro e la casualità non era un opzione da prendere in considerazione. Cerco sempre di ottenere un effetto di immagine rubata, con l’uso di mossi e fuori fuoco controllati. Tutte le immagini sono state realizzate con macchina a banco ottico su cavalletto.
Cosa le è piaciuto di più di questo specifico lavoro?
Senz’altro la sfida del doppio risultato, ottenere delle immagini esteticamente all’altezza della mia produzione e indimenticabili in un contesto storicamente esaltante come quello del primo esperimento di questa dimensione sul Big Bang. Tutto questo anche grazie alla totale libertà creativa concessami dal Board dell’esperimento.
Dal suo cospicuo portfolio ho visto che ha una certa inclinazione per le atmosfere e paesaggi industriali. Davvero trova così affascinante fotografare linee di assemblaggio, macchine per lo stampaggio del metallo, tubature e tondini d’acciaio invece di una bella modella in posa pronta ad eseguire i suoi ordini?
Trovo l’ambiente industriale infinitamente più vario e dalle infinite possibilità creative, nella fotografia Industriale ho la possibilità di deformare, colorare e plasmare la realtà a mio piacimento con l’obiettivo di creare un risultato dove tutto dipende da me e non dalla bellezza del soggetto.
Sbaglio o la sua è anche una visione un po’ nostalgica di un’Italia industriale che non esiste più?
Adoro l’estetica della fotografia Industriale degli anni 40 e 50, un po alla Fritz Lang o Margaret Bourke White, credo però che quel tipo di fotografia fosse più vicina a quella d’architettura, oggi a me piace interpretare quasi come in un reportage “acido”, con l’aiuto dei basculaggi del Banco Ottico e delle mie gelatine colorate ciò che vedo.
Il fatto che il suo occhio cada sulla macchina, sull’oggetto e non sulla persona che magari lavora a quell’oggetto come la dovremmo interpretare? Indifferenza verso il lato umano della scena o semplice attrazione per i soggetti inerti?
Le forma delle macchine sono varie e deformabili, più interessanti per i miei scopi, l’uomo lo utilizzo come pietra di paragone per capire le reali dimensioni dei soggetti nella scena.
Cosa pensa della rivoluzione introdotta dal digitale e cosa pensa della moderna fotografia?
Scatto ormai in digitale tutto quanto escluso l’industriale, ritengo fondamentale la memoria della pellicola però e vado a ricreare in postproduzione i vari effetti ottenibili con la classica fotografia analogica. Penso che la tecnologia aiuti, ma non bisogna farsi abbagliare da questa. La fotografia digitale così come “sfornata” dalla macchina è senza anima e senza poesia, sa a noi compiere le scelte che un tempo si facevano prima della ripresa ed oggi abbiamo la comodità di compiere dopo in comodità davanti al nostro Mac nel nostro studio.
Ci sono dei giovani fotografi da cui è rimasto particolarmente impressionato? Ci faccia qualche nome.
Faccio parte di un network sul web che si chiama www.behance.net, qui ho trovato dei bravissimi fotografi, fra gli altri Kim Høltermand, Marc Yankus, Kim Erlandsen.
Chi sono per lei i grandi fotografi Italiani degli ultimi 50 anni?
Quelli che mi emozionano di più sono Luigi Ghirri, Ferdinando Scianna, Ugo Mulas, F ulvio Roiter.
A quale impianto sta pensando come prossimo soggetto da fotografare?
Mi piacerebbe fotografare la Nasa, e in Italia una grande casa automobilistica, Fiat, Lamborghini o Ferrari.
Per saperne di più antoniosaba.com