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Un Vodka Tonic con Ivano Fachin

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Ivano è un giovane ragazzo siciliano, di professione fa il regista. La sua mente è un continuo laboratorio d’idee che prontamente trasforma in materia: immagini video che raccontano di sé e del mondo che lo circonda. Ha già scritto e diretto numerosi cortometraggi in Italia  e in America dove ha vissuto per 3 anni. Tra i suoi progetti cinematografici ci sono Vox Rerum (2006), Giro di Giostra (2007), L’Uomo Perfetto (2009), Sunnyside (2010), Tempus (2011), con cui partecipa a più di un festival internazionale,  ottenendo numerosi premi di riconoscimento dalla critica e dalla giuria. Ma è nella città di New York che ha trovato l’ispirazione artistica e un terreno fertile per dare vita a uno dei corti più premiati della sua carriera da regista: Vodka Tonic (2011). Adesso è impegnato nella realizzazione del primo documentario, ambientato nella sua città d’origine Modica.

 

 

Iniziamo con le presentazioni, chi è Ivano Fachin?

 

Una persona che coltiva ciò che ama, e in un modo o nell’altro mi sono trovato ad amare il cinema. All’inizio l’ho preso sottogamba, ma poi senza che me ne accorgessi è diventata una necessità, un amore puro, nato nell’infanzia e fiorito tanti anni dopo. Inizio a Perugia a girare i miei primi lavori, cortometraggi, e nel frattempo mi laureo. I premi, soprattutto quelli di Vox Rerum che ne vince più di quaranta, mi danno il coraggio e la possibilità di continuare. Poi mi trasferisco a New York, prima dovevo stare via per tre mesi, alla fine sono rimasto tre anni, e realizzo diverse opere, l’ultima e la più importante Vodka Tonic. Il lavoro mi riporta in Sicilia, dove giriamo Tempus, e mi metto a lavoro sul mio ormai prossimo a uscire, documentario. E poi… vedremo. Sono una persona curiosa, piena di dubbi, e con tanta voglia di scoprire.

Hai trascorso tre anni a NY, cosa ti ha lasciato quest’esperienza?

Beh,  tre anni di vita, ricordi, passioni, volti, tre anni in cui mi sembra di aver vissuto mille vite diverse, di aver vissuto la New york dei party e della follia, ma anche quella del lavoro, e delle possibilità. Una giungla, la più bella giungla urbana del mondo, piena d’insidie, meraviglie, dove tragedia e fortuna vanno a braccetto. E tra tutto, ciò che forse mi ha lasciato di più è la sensazione di totale libertà, artistica e personale, la sensazione che si possa essere artefici del proprio destino, e che non si debba avere paura di osare, senza riverenze verso il mondo, e soprattutto senza riverenze verso se stessi.

 

Si dice che in America ci sia più propensione verso i giovani artisti più di quanta ce ne sia in Italia, tu che impressione hai avuto?

 

Sì, è  vero, ma soprattutto c’è un mercato per l’arte e non conta da dove vieni, ma dove vanno le tue idee. Di contro hai tutto il mondo in concorrenza con te, ma questo può anche esaltarti, ti rendi conto di come si collocano le tue idee e le tue storie nel contesto di un grande percorso, e se riesci a stupire e a piacere in quel girone dantesco, forse allora  puoi farlo ovunque. Questo non significa che nella mia terra non si possano creare gli spazi, anzi si devono, soltanto che a volte l’indifferenza, il pressappochismo e la sufficienza che incontri ti tolgono tutte le energie e la fame che devi avere per andare avanti.

 

“Vodka Tonic”  è uno dei corti che hai girato nella grande mela, quale è la storia del protagonista? E che relazione c’è con un vodka tonic?

 

Un venditore di sogni falsi, cinico e stanco, depravato ma consapevole grazie alla sua perdizione, un Oscar Wilde moderno, disperato e malato. Il Vodka Tonic nella storia rappresenta la fantasia, il coraggio di cambiare, ma è anche metafora della narrazione, una storia alcolica, che vorrebbe ubriacare, bistrattare lo spettatore, realizzare un percorso di senso frammentato e amaro. Ed è anche il mio cocktail preferito. Mi ricordo che ero brillo in una bettola di Brooklyn e ascoltavo un amico suonare, Sage, che poi ha realizzato le musiche, e ne bevevo un vodka tonic. A fine serata mi avvicino a lui, e mentre chiacchieriamo con alcuni amici e facciamo gli splendidi,  gli dico “Vodka Tonic,  Sage, che titolo bellissimo… farò un film, un corto con questo titolo”. Sage mi guarda come si guarda un amico quando ha alzato il gomito un po’ troppo e brinda con me. Vodka ha avuto subito un grande successo, vincendo il Taormina Film Festival e altri dodici Festival subito dopo, è nella rosa dei trenta selezionati ai Nastri d’Argento, e la sua carriera nei festival è appena a metà percorso.

 

 

 Sotto quali aspetti la definisci un’opera sperimentale?

 

Volevo solo divertirmi, sperimentare appunto, mettere dentro idee vecchie lasciate a fermentare, immagini rimaste impresse nella mia memoria, volevo giocare, senza aver paura di sbagliare, senza aver paura di non piacere. Non ha una struttura narrativa convenzionale, non ha un inizio, uno svolgimento e una fine; sono vignette, frantumi, pezzi, ricette. Ho sperimentato, mescolato, tolto ed aggiunto, a volte con senso e cognizione, a volte di pancia e spirito. Dentro di me richiamandomi, nel segreto, al coraggio e all’estetica di autori che amo, come Bunuel e Lynch.

 

Sul finale i titoli di coda si aprono con  la dicitura: “Un incubo di Ivano Fachin” ci sembra una cosa abbastanza curiosa, ce la vuoi spiegare?

 

Beh è un sogno, una visione, nulla di vero, non è un film, prendo per mano chi lo guarda e provo a portarlo nella mia zona grigia, nel mio lato oscuro, tra i miei dubbi e le mie paure, con ironia. E poi, semplicemente mi piaceva, perché in questo lavoro rimane sempre il connubio tra scelte estetiche di contenuto, sofferte e supportate dalla mia sensibilità verso ciò che vedo, e scelte dettate da puro piacere e cifra stilistica. Le due cose si confondono, si abbracciano e si nascondono l’un l’altra.

 

Parlando dei progetti più recenti, so che stai lavorando al tuo primo documentario, incentrato sul gelataio ambulante del paese siciliano in cui vivi. Come è nata l’idea? E come si sta sviluppando il progetto?

Quasi finito finalmente! Ha preso molto più tempo di quanto avrei immaginato, ed ora provo una profonda antipatia per il progetto, lo odio, diciamolo, ma a me succede sempre nelle fasi finali, arrivo esausto e mi sembra tutto orribile ed inutile. E’ nata al mio ritorno da Nyc, me lo trovo davanti, un’icona, con la musica di radio dj a tutto volume e trascinandosi dietro ricordi di serate estive e momenti d’infanzia. Personaggio interessantissimo per un film, ma ho deciso che era il momento di misurarmi con un documentario, forma espressiva che prima detestavo e che  ora amo.

 

Fino adesso hai curato sia la sceneggiatura, scritta di tuo pugno, e la regia dei tuoi corti. Non hai mai pensato di trasformare in film una sceneggiatura creata da qualcun altro?

 

Magari! Anzi, chi ha una bella storia, scrivetemi! ivanofachin@gmail.com! Purtroppo non ho trovato storie altrui che mi abbiano rapito, ho gusti personalissimi, ma mi piacerebbe affiancarmi a qualcuno, meglio ancora se a qualcuno con maggiori doti tecniche, che migliora la struttura delle mie storie, lo scheletro della narrazione.

 

Hai iniziato realizzando cortometraggi,  e adesso ti stai cimentando nella realizzazione di un documentario, quale sarà la prossima tappa?

 

Voglio sicuramente continuare con i documentari, mentre non voglio più realizzare cortometraggi, basta, non riesco più a guardarne. Ora il mio obiettivo vero ed ultimo e’ il lungometraggio, la mia chimera, sono a pochi passi, ma sono quelli più difficili, e quelli più importanti.

 

Non resta altro da dire: In bocca al lupo.

 

Per saperne di più: www.ivanofachin.com

 

Testi di Annamaria Di Matera.

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Questo è il suo articolo n°144

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