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Una volta ho ucciso sette volte un gatto

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Ora, io vi racconterei pure della tizia in vestitino, sulla bicicletta vecchia, ferma sul marciapiede, al semaforo, che, tutta ricurva e sporta sul manubrio, infine, intraprende la traversata delle strisce pedonali, spostando faticosamente tutto il suo peso ora su un lato ora sull’altro, manco Coppi nelle più ardue salite del Giro d’Italia, che pare che lei pedali e qualcuno gliela tenga frenata dietro, a due mani, gambe ben piantate a terra, così per scherzo. Dicevo, ve ne racconterei. Solo che ha appena girato l’angolo. Ed io non ho la più pallida idea di che fine abbia fatto. E vi racconterei anche della padrona del cane che, per adesso lui solo, appeso ad un filo orizzontale, spunta dallo stesso angolo dello stesso semaforo. Solo che sono dieci minuti che aspetto ma non sembra voglia apparire.

foto di Electroplasticbox | http://www.flickr.com/photos/electro_plastic_is_fantastic/

E non è che possa scendere e andarle a dire “Signora, si sbrighi ad uscire ché devo scrivere il racconto”. No, non posso proprio, soprattutto che c’ho la macchinetta del caffè sul fuoco, che sta a momenti per uscire. A maggior ragione ora che anche il cane è sparito, rientrato dietro le quinte dell’incrocio stradale, in un aborto di rappresentazione teatrale. Che, poi, era più il guinzaglio che il cane. E a me i cani, in fondo in fondo, nemmeno piacciono. I gatti sì, ché sono affascinanti. E poi non abbaiano, miagolano. E a me piacciono solo gli animali che miagolano. Le tartarughe, ad esempio, che non so che verso facciano, ma anche se non facessero un verso, appunto, gli animali che non hanno un verso, ad esempio certi millepiedi, che non ho mai capito dove sia il capo e dove la coda, che poi coda coda proprio non è, beh, a me gli animali così non mi piacciono. A me piacciono, dicevo, gli animali che miagolano. I gatti, quindi. E se un gatto non miagola, non mi piace. Una volta ne ho ucciso uno, proprio per questa ragione. Il proprietario, che voleva menarmi, gridava “Ha ucciso il mio gatto!”, mentre mi veniva addosso e i passanti lo tenevano. Ed io lì, nell’inutile tentativo di contestare una tale congettura, non tanto che fosse suo, ché i gatti, è cosa risaputa, non hanno padroni, piuttosto cioè che fosse un gatto, perché, appunto, non miagolava. Inoltre c’era il fatto che fosse bastato ucciderlo una volta, mentre si sa i gatti hanno sette vite. (Una volta ho ucciso sette volte un gatto. Ma era un gatto vero, quello. Fu una missione segreta per conto dei servizi segreti francesi e fui costretto, mio malgrado, a farlo: quel gatto, a quanto pare era una spia libica). Mi denunciò, comunque.”Ha ucciso il mio gatto!”, disse ai carabinieri. “Ha ucciso il mio gatto!”, disse ai giornalisti. “Ha ucciso il mio gatto!”, ripeté anche in tribunale. Era evidentemente un paranoico. Ciò in altri momenti, sono profondamente buddista, mi avrebbe trovato compassionevole. Ma ora dovevo scagionarmi da tale ignobile accusa. Uccidere un gatto, io che li adoravo! Riproposi con successo il medesimo icastico sillogismo, l’indissolubile relazione logica “gatto-miagolio”, dinanzi alla corte. La sentenza di innocenza, ovvia, fu “il gatto non sussiste”. Anche se per un po’ ci furono pettegolezzi su quell’integerrimo giudice, pieno di strani graffi sul volto.

testi di  Giuseppe Santoro

Valentina A.

scritto da

Questo è il suo articolo n°43

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