Underground Zone
Intervista a Claudia Attimonelli, coautrice insieme ad Antonella Giannone del libro “Underground Zone. Dandy, Punk, beautiful people” (Caratterimobili edizioni 2011).
Una sera ho indossato il mio frac rosso sopra una t-shirt alla marinara a strisce bianche e azzurre, papillon blu elettrico, ho dipinto le orbite degli occhi di nero e le labbra con un rossetto glitter e me ne sono andato in una piccola galleria d’arte barese, Fabrica Fluxus Art Gallery, ad ascoltare delle persone che presentavano un libro che parla proprio di me, Dandy, Punk, beautiful people.
Bando alla stupidità, io non sono un dandy né un punk, mentre il libro esiste, è vero ed è importante e pieno di tante cose interessanti.
Claudia e Antonella sono partite da una bellissima serie di foto di Paul Zone (da qui il gioco di parole nel titolo del libro) scattate nei primi anni ’70 a quelle che di lì a poco sarebbero diventate non solo delle rockstars, ma dei veri e propri simboli, delle icone non soltanto delle scene musicali punk, glamrock o new wave, ma anche dello stile, dell’arte, della moda.
Ed è proprio questo il concetto fondante della pubblicazione: mostrare come quella generazione di artisti, che mosse i primi passi e offrì le prime manifestazioni di sé nel mitico locale GBCB di New York, intendesse fare della propria persona e del proprio corpo la massima espressione della propria arte espressiva.
I protagonisti della scena underground della Grande Mela di quei tempi, raffigurati nei ritratti di Zone, non possono essere ridotti alla loro musica e alla loro immagine, che rappresentavano soltanto le strade più veloci, immediate e comprensibili per esprimere se stessi. Essi sono pronti ad offrire all’arte il proprio corpo, che è al tempo stesso supporto fisico e strumento materiale delle proprie opere, contemporaneamente la tela, i colori e i pennelli del quadro di sé. Si sperimenta l’assunzione di ogni tipo di sostanza possibile, si adotta uno stile, che ha senso soltanto perché è qui e adesso, si interpreta un ruolo, un personaggio inscindibile dalla persona.
In una notte newyorkese freddissima al CBGB uno di questi personaggi indossava un abito elegantissimo ma molto leggero e qualcuno gli obbiettò “ma come fai ad andare in giro così con questo freddo?”, lui rispose “le rockstars non si vestono per il tempo!” E’ il ritorno di Dorian Gray, ma questa volta il dandy è anche donna, su tutte Debbie Harry, colle sue labbrucce sensuali ed eternamente adolescenziali, le sue mise a volte estremamente punk altre elegantemente decadenti.
Finita tristemente la stagione delle grandi speranze rivoluzionarie di massa, l’arte si concentra sull’individuo, che si manifesta attraverso il corpo, l’immagine, la musica, lo stile e intanto aspetta l’apocalisse.
Domando a Claudia il motivo delle scelta di approfondire questo argomento
Nel precedente libro mi sono occupata della Techno, mentre questa volta mi interessava trattare un periodo che affonda le sue radici negli anni ’60 e che si caratterizza per lo stile, inteso sia come stile musicale sia estetico. Volevamo raccontare come nei primi anni ’70 in una grandissima metropoli come New York riuscissero a convivere, prima di prendere strade diverse, stili diversi tra loro, da un lato il glam, elegante, glitterato e tendente ad un’estetica eccessiva, e dall’altro il punk, disinteressato all’aspetto esteriore. Tutti questi elementi riescono a trovare una scena comune, all’interno della quale tutti si influenzavano reciprocamente.
Come vi siete divise il lavoro?
Il libro è diviso in due parti. Antonella si è occupata della moda di quel tempo, legata ai vari stili artistici, ed alla costruzione del corpo, quindi il trasformismo, il travestitismo, il drag. Io, invece, mi sono occupata del tema, che ha dato poi il titolo alla prima parte del libro, “il dandy, il punk e la morte” ed ho trovato che la morte, vista in senso simbolico come la fine di tutto, genera un momento prima della distruzione finale l’estetica del piacere portato all’eccesso e del nichilismo.
Confrontando la vita delle star dello spettacolo di oggi con le rockstars protagoniste del vostro libro, la differenza sembra essere che oggi si voglia far emergere all’esterno solo l’estetica all’estremo grado, la perfezione, l’edonismo, anche se poi la parte oscura emerge in modo traumatico nel privato, quando queste stars non riescono a nascondere le proprie debolezze, i propri limiti, mentre i personaggi da voi descritti erano consapevoli di entrambe le facce della medaglia.
E’ vero, in quei personaggi non c’era distinzione e, soprattutto, non c’era mediazione tra le due cose. Loro hanno sperimentato direttamente su se stessi, senza avere un esempio. Spesso non sapevano neanche cosa stavano facendo. Era appena finita l’epoca dei grandi ideali, che erano tutti caduti. Questi ragazzi non avevano nulla da perdere e quello che volevano sperimentare coincideva con quello che volevano vivere direttamente, ma non c’era un poi.
Dopo aver ascoltato tante cose sull’epoca immediatamente precedente alla catastrofe finale, mi domando se il nostro punto di osservazione sia la catastrofe ormai compiuta oppure la sopravvivenza ad essa.
Per chi volesse saperne di più: caratterimobili.it