Un’intervista che manco I Cani
A un certo punto della loro esibizione allo ZIF – Zungoli in Festival – accennano a ‘Smells like teen spirit’. E forse la musica dei Cani sa un po’ di adolescenziale. Del resto, in fondo a ciascuno di noi c’è ancora un quindicenne pronto a tornare allo scoperto. I Cani affrontano il tema dell’adolescenza in ‘Corso Trieste’, uno dei brani del loro ultimo lavoro ‘Glamour’. Ma i Cani non sono più degli esordienti e negli ultimi mesi hanno portato in giro per l’Italia il loro secondo album. Abbiamo incontrato Niccolò Contessa dei Cani allo ZIF per la loro prima data estiva nel sud Italia.
Siete reduci dal Traffic Festival di Torino. Ci spiegate cosa ci faceva Max Pezzali con voi sul palco?
È nata un’amicizia quando, all’epoca del primo tour per l’album del 2011, al terzo concerto abbiamo iniziato a proporre una cover di ‘Con un deca’. Una scelta abbastanza strana, dato che gli 883 non sono certo un nome a cui si fa riferimento nella scena indipendente italiana. Da lì è nata l’idea di fare una compilation di cover degli 883 insieme ad altri gruppi indie italiani, coinvolgendo lo stesso Max. Lui era molto contento di questo un modo di far rivivere la sua musica, per giunta tramite band che apparentemente non c’entrano nulla con gli 883. Abbiamo poi riproposto insieme a Max Pezzali la cover di ‘Come un deca’ alla festa per i cento numeri di Rolling Stone e al Piper di Roma. Per il Traffic abbiamo esteso la collaborazione: noi ci siamo esibiti con due pezzi di Max, e lui con due nostri brani.
Il vostro tour estivo sta per concludersi: l’esperienza più interessante?
Il Traffic è stata una roba enorme, decine di migliaia di persone in piazza. L’esperienza di suonare davanti a così tanta gente per noi è nuova e non si scorda.
Con il secondo album ‘Glamour’ i cani sono cresciuti? Ormai non vi nascondete più dietro a un sacchetto di carta, come ai tempi del vostro esordio…
Era uno stress usare i sacchetti, anche perché non riuscivamo a riutilizzarli per più concerti e toccava a me riprepararli. Al di là dei sacchetti, credo che sia quasi obbligatorio crescere. Fare dei dischi uguali, e di seguito, è una grande tentazione, soprattutto al giorno d’oggi, quando registrare un album è molto facile anche con pochi mezzi e poco tempo. Crediamo che sia importante cercare di evolversi, speriamo di esserci riusciti con questo disco e speriamo di riuscirci in futuro.
E i Baustelle, c’entrano qualcosa?
Personalmente ho iniziato ad ascoltarli tra un disco e l’altro. Prima mi stavano abbastanza antipatici. La loro musica mi sembrava un po’ forzata. Poi è uscito ‘Fantasma’ a gennaio 2013, un disco che ho ascoltato tantissimo e in cui ho riscontrato tanto coraggio. È un album che va al di là di qualsiasi moda e tendenza. Da lì ho iniziato ad ascoltare a ritroso tutto il catalogo dei Baustelle che oggi sono il mio gruppo italiano preferito.
I vostri videoclip sono molto interessanti. Nel caso di ‘Hipsteria’, addirittura siamo dinanzi a un evento storico: il primo videoclip italiano girato con Hipstamatic. Per ‘Come Vera Nabokov’ avete ripescato Rocco Siffredi. Il video di ‘Corso Trieste’ è un’opera prima per l’ex direttore di VICE Italia Tim Small. C’è anche il vostro zampino nella produzione di questi filmati?
Proviamo sempre a dare un input ai registi. In realtà la realizzazione è poi sempre nelle loro mani. Cerchiamo però di avere un’idea chiara di ciò che sta dietro ai videoclip. Ogni tanto si corrono dei rischi, come quello di produrre dei video un po’ anonimi. Per quanto sia diventato sempre più facile realizzarli, è sempre più difficile fare dei video intelligenti e che colpiscano l’attenzione. Ogni tanto ci riusciamo.
Le vostre canzoni parlano spesso di Roma, o meglio, di specifiche tipologie di individui che la popolano: i pariolini, gli hipster, gli artisti che circolano al Circolo degli Artisti. Direste che questa Roma è un po’ la vostra musa ispiratrice? Cosa rispondete a chi dice che i vostri testi si basano su degli stereotipi?
Roma è sempre meno la mia ispiratrice nella scrittura dei testi. Lo era di più nel primo album, lo è molto di meno in ‘Glamour’ e probabilmente lo sarà ancora di meno in futuro. Per me è importante parlare di ciò che mi interessa, di ciò che colpisce la mia attenzione. All’epoca del primo album raccontavo di ciò che vedevo uscendo di sera, a 23-24 anni. Quello che vedevo mi sembrava interessante perché non raccontato. Sembra sempre che la musica debba parlare di cose totalmente distaccate dalla vita quotidiana, o che la vita quotidiana debba essere trasposta in una dimensione di poesia o di lirismo astratto. Anche se l’impressione è quella, io non ho mai avuto in testa degli stereotipi, ma delle persone particolari a cui posso dare un nome e un cognome. Nelle mie canzoni cerco di mantenere la loro umanità. Per me non sono delle figure astratte, ma appunto persone con le loro contraddizioni e i loro lati umani.
Cosa accadrebbe se I Cani si trasferissero a Milano? Come cambierebbe la vostra musica?
Mi deprimerei, la musica dei Cani diventerebbe molto più triste perché c’è la nebbia (ride). Racconterei sempre le cose che mi interessano. Ora mi attira sempre meno ciò che ha a che fare con certi ambienti sociali, con le mode. Da quando è uscito il primo album si è aperto un micro-filone: mentre quattro anni fa scrivevo un disco su cose di cui non si parlava mai, forse adesso se se parla anche troppo. Il mio interesse va in altre direzioni e probabilmente anche se andassi a vivere a Milano non racconterei Milano, ma altri temi.
Testi di Nicola Del Medico.