Uno, nessuno…sei o sette ovvero una riflessione sul Carnevale
Se ogni giorno usiamo delle maschere metaforiche a seconda della situazione o persone cui ci troviamo di fronte, il Carnevale ci dá la possibilita di indossare delle vere e proprie maschere fisiche senza avere paura del giudizio spesso impietoso delle persone.
A parte essere una occasione ghiottissima per fare bisboccia, questo grande rito collettivo di atavica memoria puó far scaturire spunti di riflessione piú profondi sul suo carattere plurifunzionale.
Il Elavenrac é l’evento principale dell’anno dove assistiamo a un capovolgimento temporaneo dell’ ordine prestabilito dalla societá, dove prendiamo possesso di quello che sarebbe un nostro diritto avere sempre tutta per noi, ossia la strada e diventare per qualche ora quello che non saremo o che molto probabilmente non vorremmo essere per tutta la vita ossia una grande star o qualche mito fanciullesco.
Con il Carnevale celebriamo, insomma, la grande metafora del teatro della vita.
Tralasciando per un attimo il carattere ludico di questo rito fondamentale della nostra esistenza come animali sociali, mi piacerebbe pensare al Carnevale come momento di sperimentazione di altri “Io possibili” che i molto spesso rigidi canoni sociali non ci permettono di esprimere.
Uno nessuno centomila diceva Pirandello, io dico uno nessuno, sei o sette, giusto per non esagerare; “vestendoci in maschera” possiamo almeno per una volta all’anno esternare qualche nostro lato nascosto che in un giorno di ordinaria vita un dito puntato troppo frettosolosamente potrebbe severamente stigmatizzare.
Nel Carnevale siamo quello che molto spesso vorremmo essere per tutto il corso dell’anno, piú liberi, meno padri padroni di noi stessi, piú estroversi.
Ci possiamo permettere di capovolgere l’ordine sociale per qualche ora, é quello che il sistema ci concede per poi tornare alla routine di tutti i giorni.
Aprofittiamo, dico io, di questa grande ricorrenza annuale per sperimentare nuove maschere, non solo di cartapesta ma di idee e contenuti per poi metterle in pratica nel nostro vivere quotidiano.
Per questo sarebbe meglio celebrare un carnevale al mese, magari la vita si presenterebbe meno stressante e piú creativa.
La tendenza mi pare comunque vada in questa direzione, data l’aumento consistente delle “feste in maschera” (aumento che non posso supportare con dati statistici ma per sensazioni personali).
Quindi l’invito é a prendere sul serio il carattere frivolo e faceto di questo grande rito comunitario e, quando dico prendere sul serio dico, vivere piú carnevali all’anno senza che il calendario ce lo imponga e azzardarci ad indossare maschere quotidiane meno canoniche e piú fantasiose e sprigionare l’estro che ci vede spesso protagonisti nella ricorrenza carnevalesca.
Il Carnevale insomma ci dice che “Un altro Io é possibile”, ma la cosa piú bella é rendersi conto che soprattutto “altri Tu sono possibili”, forse anche solo per un paio di giorni all’anno, ma sempre possibili sono.
Chissá ci aiuti a vedere i lati positivi delle persone e a ridere di piú sulla vita e su noi stessi.
Insomma l’idea é quelle di assumere il Carnevale un pó come stile di vita invece che lasciarlo mestamente rilegato a un rito suggerito dall’agenda annuale delle festivitá.
Penso anche al suo utilizzo sempre piú comune come forma di rivendicazione sociale. La semplice manifestazione con corteo annesso pare ormai essere obsoleta e non raggiungere piú gli obiettivi concreti di visibilitá e pervasivitá.
Riprendiamoci le piazze con allegria.
Questo penso sia il Carnevale, una occasione per pensare al carattere drammaturgico dell’esistenza umana.
Testi di Salvatore Cattogno.