Verbo per Lumen / urban factory
Gli street art addict Mitja ‘Verbo’ Bombardieri lo conosceranno già, non solo perché bazzica la street art da un bel po’ di anni, ma anche perché non perde occasione per far parlare di lui. Mille progetti all’attivo, un bel po’ di partecipazioni a eventi e festival e un’esperienza da far paura. Insomma, ci sarebbe molto da dire su questo personaggio multitasking ma io preferisco invitarvi tutti a Lumen, urban factory il 13 maggio al Parco dell’Irno di Salerno e lasciarvi un po’ con l’acquolina in bocca. Tra teorie complottiste poco interessanti e inarrestabili progetti artistici Verbo ci ha detto la sua e consiglio a tutti di leggerla perché è davvero un punto di vista interessante.
Il tuo nome sa molto di biblico. Chi sei? Confessa!
No! Non mi avrete mai!
Come definisci il tuo stile?
Nel mondo del writing, dal ’98, ho sviluppato il lettering “biomeccanico” armando le lettere con esoscheletri e spesso trasformandole in insetti…Nel mondo video dal 2001 direi che ho sviluppato lo stile “FLxER”. Entrambi gli stili sono poi diventati scuole.
Da cosa o chi trai ispirazione?
Lavoro in freestyle quindi traggo sempre ispirazione dal contesto nel momento indefinito dell’atto (questo spaventa spesso la committenza, ehheheh). E mi sposo col cyberpunk, ma con qualche scappatella occasionale verso tutto il resto, per pura curiosità che diventa esperienzialismo.
Dacci qualche piccola anticipazione su cosa hai preparato per Lumen sempre senza svelare troppi dettagli, lasciamoli un po’ sulle spine.
Analizzato il campo d’azione che Lumen mi ha proposto, ho preso in considerazione il senso di appartenenza, come si dice? La family (il senso esteso).
Ti occupi anche di videoarte/performance, parlaci delle Video Incursioni.
Le video incursioni (o videoraids) nascono nel 2008 dopo una lunga esperienza (dal 2001) maturata nell’ambito delle video live performance con il b_muvis videoklan e lo sviluppo del progetto flxer.net. L’intuizione che ne sta alla base è quella di fondere l’espressività e le logiche della Street art con le potenzialità creative delle nuove tecnologie. Ho modificato l’impianto elettrico di un furgone e ho cominciato a sparare concetti col proiettore in stile guerriglia. Con questa tecnica oltre alla narrazione video che potenzia i contenuti, posso raggiungere in un istante superfici altrimenti irraggiungibili con la pittura, come pareti elevate o monumenti storici, in situazioni molto particolari. Ad esempio ho proiettato una guardia della regina su un muro della stazione impaginata con due pusher di eroina (questi veri) che stavano appunto spacciando. Mi divertiva come la guardia inglese controllasse intorno, facendo da palo e garante al commercio della droga (che poi, come sappiamo noi complottisti, è cosi anche nella realtà di questo colonialismo inglese targato N.W.O.). Oltre alle video incursioni ho iniziato, con Simone Rovaris e Fabio Genuizzi, a sviluppare progetti di video mapping per grossi clienti. Il gruppo si chiama Project-On (.it se volete venirci a trovare).
Sei sulla scena da molti anni, quindi se volessi sapere qual è esattamente l’attuale situazione della Street art non dovrei fare altro che chiedere?
Dovremmo prima capirci su cosa è o non è Street art. Posso dirti però che è in atto una divisione grossolana tra graffiti come fenomeno giovanile e irresponsabile e Street art di quelli maturi e sensibili…questa divisione è frutto di una grande confusione ed è alimentata da chi vuol trovare a tutti i costi delle eccellenze di mercato. Io ritengo più semplicemente che il writing sia una disciplina pittorica durissima e che spesso nei loro contenuti, gli “street artist”, siano un surrogato stantio della pop art. E credo che, in entrambi i casi, siano pochissimi quelli in grado di dettare uno stile che diventi moda e che valgano davvero.
Se gli “studiosi” tracciassero un percorso tra i capi scuola di entrambe le discipline, si troverebbero tutti i punti di contatto necessari per stabilire una radice comune. Ma ora come ora è Dividi et Impera e mi rammarica parecchio vedere ex-writer che negano il passato, dicendo: “ero un ragazzino ora è diverso”, così facendo recidono le loro radici. Qualche anno fa, Blu (e lo cito perché lo rispetto) mi disse: “ancora fai le lettere?!?”…come se fosse una cosa superata. Io credo che ogni cosa abbia il suo sviluppo e, se è reale e sentita, non è mai superata ed è sempre attuale, quindi io faccio le mie cose, il mio lettering, i miei video, le mie idee…E vorrei oggi ricordare a Blu, senza polemica, che da ragazzi si iniziò la scuola del writing anche perché in quel tempo gli illustratori e il “pop” ci annoiavano, tanto che molti snobbavano pure chi faceva i “puppet”. Quindi al pubblico dico solo, a ognuno il suo, e basta con le etichette. Per apprezzare il writing serve un bagaglio culturale un po’ meno “popolare”. Stop.
C’è qualche artista emergente di cui apprezzi particolarmente il lavoro?
Seguo poco…faccio difficoltà anche a seguire gli amici…
Ti occupi della più classica street art ma allo stesso tempo ti dedichi a un progetto come BAN.king in collaborazione con Intesa San Paolo, come si sposano due attività così antitetiche che vanno dalla strada agli uffici?
Si scrive -> /BAN.King, dove /BAN è un comando di IRC che significa gergalmente BANNARE o, tradotto, bandire nel caso di IRC dal canale. Di solito chi “banna” è chi comanda le regole del canale. King è un termine inflazionato del mondo dei graffiti. Quindi la somma di questi due termini rappresenta la competizione continua di chi vuol fare l’impresa. Questo progetto nasce nel momento in cui la curatrice Sara Mazzocchi di Libri Aparte, che si occupa delle relazioni Arte e Impresa, mi chiede di fare qualcosa per questo suo cliente. Dopo pochi secondi d’ilarità, pensando all’idea di dipingere in una banca…ho capito che quella era una sfida serissima. Nell’ultimo periodo il mio lavoro è incentrato tutto su segno, contesto e contrasto. Quindi ho pensato che lasciare il mio segno dentro a quel posto era già un forte contrasto. Il resto è stato sequenziale. Il contesto mi ha dato il medium. Ho formato questi sessanta dirigenti per la rappresentazione del sé solo attraverso il segno (un writer si riconosce per il segno, ma resta anonimo), facendoli mascherare. Indurli a esprimersi liberamente sui muri ha creato quel caos di personalità che, in un ambiente ordinato e anonimo di una banca, produce il contrasto estetico e genera quel ”black-out” del sistema banca che, rispetto all’omologazione e alla produttività del personale, riscopre l’emozione dell’individualità, della trasgressione e delle differenze che ci rendono tutti più umani e più vivi. Quella vitalità che ogni writer riscontra quando ascolta i segnali della “strada”, decodificando tag, scritte politiche, intonaci sgretolati, pavimenti bucati, polveri metalliche su traversine di legno ingrassate tra i binari dei treni, pisciate di cane, vomito di sballati, fiori dall’asfalto e cosi via…presenze di vite vissute che spesso la nostra cultura moderna ci fa appiattire e camuffare nel delirio dell’idealizzazione dell’impresa perfetta.
Per quanto riguarda questo rapporto “antitetico” tra Street art e, chiamiamolo cosi, Nuovo Ordine Mondiale che mi chiedi, credo sia più concreto il confronto diretto dall’interno della piramide, che scrivere “fuck the system” nel proprio cortiletto e con cortiletto intendo qualsiasi posto del globo facilmente raggiungibile con un semplice “azzardo” da writer o street artist che sia. Non a caso la Street art è l’arte ufficiale del N.W.O. perché colpisce sì, ma dentro gli schemi. Vedi Shepard Fairey e il suo ritratto della più grande farsa vivente nella storia dei presidenti americani (p.s. vi immaginate se un Veltroni o un Bersani si facessero fare un ritratto da uno Street artist italiano per la loro campagna elettorale?), o l’idea di risolvere i problemi della striscia di Gaza con un po’ di vernice borghese che i locali, martoriati quotidianamente, riconoscono solo come decorazioni che certi muri non meritano. Con questo voglio solo dire che è meglio stonare a volte che seguire un coro di pecore al macello, a costo di risultare stronzi, scomodi o inopportuni.
Ciao Verbo, ci vediamo a Lumen.
Ciao e Grazie.
Verbo è uno dei sei artisti proposti dall’Associazione Lumen project per Lumen /urban Factory
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Lumen / urban factory
13 – 29 maggio 2011
Parco dell’Irno
ex Area Salid
Salerno
Italy